Non se ne può più di sentir parlare di libri. Si è parlato solo di libri, questi giorni. Libri, scrittori, lettori, editori e case editrici, che uno dice sono la stessa cosa, e infatti sì, sono la stessa cosa, però sono due modi di pensare diversi, anzi no, due immagini, diverse, tipo prospettive dello stesso oggetto, rappresentazioni, ecco, non lo so. Poi forse lo spiego meglio. No, facciamo che lo spiego subito, sennò rimanete sulle spine, e non è bello, se non si tratta di un thriller, cosa che qui escludo categoricamente. Allora, io, se dico editore, voi immaginate gente in giacca e cravatta, e scrivanie, e contratti, e telefoni che squillano, e mercato, e ufficio stampa, e promozione, e insomma un ambiente professionale, di lavoro, di numeri, di numeri più che di lettere, ecco. Se invece, io, dico casa editrice, voi immaginate una famiglia di artigiani, e tavoli della cucina con sopra le buste della spesa e manoscritti, e la tovaglia a quadri bianchi e rossi mezza tirata via, una tazzina abbandonata lì coi fondi del caffè, vicino a una penna mordicchiata, briciole, su un bel tagliere di legno magari, e strette di mano e sorrisi, e il camino acceso, la legna che scoppietta, aromi di spezie, e il passaparola da finestra a finestra, qualcuno che strimpella una chitarra, una fisarmonica, quella leggerezza che più di Calvino è del fumatore di cannabis, ecco. La verità, invece, alla fine, è che una casa editrice, o editore, e viceversa, se ci andate, è indistinguibile dallo studio di un commercialista che ha gusto in fatto di poster, solo che ci sono più stampanti. Se potete evitare di andarci, evitate, rischiate di rimanere delusi.
Tutto questo parlare di libri perché a Torino c’è stato questo Salone, il Salone del libro, che lo fanno a Torino, secondo me, col fatto che è una città piuttosto decentrata, lassù, in un angolo, quasi ai confini, che ci vuole parecchio a raggiungerla, anche, per la maggior parte delle persone, insomma quasi fuori Italia, lo fanno lì, secondo me, per far capire che in Italia ci sono, perché ci sono eh, i libri, in Italia, però non è che siano proprio al centro, sono lì in fondo, da una parte, difficile che uno ci capiti in mezzo, deve partirci convinto, per trovarli. Però questo si sapeva.
Un’altra cosa che si sapeva è che in giro c’è un sacco di gente che scrive, abbiamo un po’ la fissa della scrittura, noi, voi, e c’è una sproporzione tra lettori e scrittori, che altrove non c’è, e che io adesso qui non la so quantificare, non ho dati ufficiali, non so neanche se ci sono, dati del genere, e se qualcuno mi dicesse che mi sto inventando tutto, avrebbe ragione a farlo, non potrei in alcun modo dimostrare il contrario, però secondo me sono sicuro ci sono sette lettori per ogni scrittore, come ci sono sette donne per ogni uomo, e anche questo è un dato che non lo so se è vero, però è preoccupante, così com’è preoccupante quel rapporto di uno a sette tra scrittori e lettori, perché come si fa la classica battuta, scherzando, ma mica tanto, al bar, con gli amici, E allora dove sono le mie sette donne?, allo stesso modo uno scrittore, scherzando, ma mica tanto, di certo non al bar, potrebbe chiedersi Dove sono i miei sette lettori? Poi alla fine uno smette di chiederselo, si fidanza, prende moglie, e va avanti così, anche se un po’ il dubbio gli resta, di queste altre sei donne. E anche uno scrittore, a un certo punto, trova il suo lettore, smette d’inseguire chissà quali fantasie, si sistema, pur col dubbio. Di quelli che, ci sono anche loro, non mettono la testa a posto, e continuano ad andare a caccia di donne, o di lettori, è meglio non parlarne, come per i libri.