L’ospite fa una battuta. Non fa ridere. Ma io sono Barbara D’Urso. Quindi rido. Poi è il turno di Renzi. Quello non lo reggo. Ma lo accolgo a braccia aperte. Dice una bestialità. Penso: “Che imbecille!”. E annuisco in segno di approvazione. Arriva un altro ospite. Racconta una storia commovente. Mi distraggo, penso ad altro. Ma gli rivolgo uno sguardo empatico. Anzi, faccio di più. Non sbatto le palpebre per un minuto, così poi piango, mentre sono stanca e annoiata. Le lacrime cadono sulla scollatura. Bravi, eccitatevi. Quanto vi odio. Ma dico: “Vi amo con tutta l’anima”. Non ho un’anima. Termina la trasmissione. Sospiro. Entro in camerino. Scrivo un tweet pieno di cuoricini per dire “grazie” al pubblico. Ma penso: “Grazie al cazzo”. Mi specchio. Sono di nuovo io, Maria Carmela D’Urso, un genio. Il mio QI è 190, come quello di Enrico Fermi. Vinco partite a scacchi online. Mi diletto con saggi di geopolitica che leggo in biblioteca, truccata come Robert Smith dei Cure, così non mi riconoscono. Il mio agente conosce la verità. Mi mette spesso in guardia: “Se lo scoprono sei fottuta”. Tanto per contrariarlo, gli dico: “Sei il solito esagerato”. Esagerato un cazzo, ha ragione. Ripenso a un’amica, ricercatrice alla Sapienza. La stimo molto. Per fortuna non ho fatto la sua fine.
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