Giovedì, 1 gennaio 2015

È stato il mio primo capodanno in un fuso orario diverso. Ed è stato straniante prendere coscienza qui che in Italia si festeggiava sei ore prima, che non ci fosse coincidenza nella cronologia dell’evento. Sì, certo, è qualcosa che sapevo in astratto, la terra gira, il fuso orario, blablabla. Ma sapere che i miei affetti brindavano e si ubriacavano al ritmo di musica improbabile sei ore prima, ecco: viverlo di persona, ricevendo i loro messaggi alle mie sei del pomeriggio, è stato qualcosa di inatteso e potente. Qui (come altrove per la verità) seguo le partite del Palermo in diretta via streaming, e so che c’è qualche minuto di differita tra l’azione realmente giocata allo stadio e quella che si manifesta sullo schermo del mio mac, però, amunì, è come se le cose accadessero in tempo reale, qualche minuto è una differita tollerabile per un tifoso, significa supportare la squadra del cuore entro un lasso di tempo emotivamente sostenibile in cui, ne sono certo pur sapendo che non è così, è ancora possibile riuscire a influenzare il risultato con la potenza degli scongiuri e dell’amore per la maglia. Ma sei ore per attendere un capodanno che si è già festeggiato dove io avevo festeggiato tutti gli altri capodanno, marònna, sei ore sono una vita intera! E questo è, semplicemente, stupendo. C’è una bellezza profonda e struggente in questa distanza temporale di avvenimenti simili e, davvero, non resta che abbandonarsi a ciò che accade e che continuerà ad accadere, alla Terra che gira e che nonostante tutto continuerà a ruotare, al sole che sorge e cala e che insisterà a farsi alba e tramonto giro dopo giro, e io che mi sento rimesso a posto nel mio essere un minuscolo puntino su questo pianeta azzurro, mentre osservo nel primo giorno dell’anno una Manhattan baciata dal sole e Pepa serena che contempla il cielo quieto e disteso sopra di noi.