Sabato, 20 dicembre 2014

Siamo in metro, rientrando a casa da un pranzo dalle parti del Rockfeller Plaza. Prendiamo dalla 5thAvenue la linea E, direzione Queens, scendiamo a Court Square, attendiamo la G per tornare a Brooklyn, Greenpoint, fermata Nassau Avenue. La metro che arriva per caricarci si ferma, questa stazione è il capolinea della G. Scendono i passeggeri, i vagoni si svuotano, salgono i nuovi passeggeri, i vagoni si riempono. I capolinea si assomigliano un po’ tutti: è facile trovare posto a sedere, l’attesa è più lieve, l’orologio viene controllato con minore frenesia. Dall’altoparlante una voce comunica che la linea G è momentaneamente soppressa e che le uniche linee funzionanti sono la E, la M e la 7. Per noi passeggeri, prendere uno di quei treni, significherebbe riandare a Manhattan per poi da lì tornare a Brooklyn. Per chi non conosce la topografia di NY, basta immaginare un triangolo: sarebbe come dirigersi prima verso l’angolo opposto a quello che interessa raggiungere davvero. C’è qualche brontolio, ma gli stessi dipendenti della Metro non sanno spiegare cosa sia successo: hanno ricevuto questa comunicazione che hanno girato a noi, tutto qui. Un signore di mezza età dice che l’autobus B62 passa da Greenpoint. Usciamo dalla metro, guadagnamo la fermata, attendiamo in fila, arriva l’autobus, saliamo. In breve, il B62 si colma fino a divenire strapieno. Il conducente ci fa salire in fretta, senza fare timbrare il biglietto a nessuno. Ha fretta, evidentemente. La giornata è tersa e la corsa sull’autobus è bella: Manhattan di fronte offre di sé il profilo Est, affascinante, altero e irregolare. Il cielo è nitido come solo alcune giornate fredde sono in grado di offrire. Rientriamo a casa con tre quarti d’ora di ritardo. Apro il frigo, preparo il guacamole per la cena, addùmo il computer e scopro che due poliziotti sono appena stati ammazzati a New York e che il killer si è rifugiato in una fermata della linea G prima di spararsi un colpo in testa.

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