[Fruscio del sipario che si apre mescolato a brezza marina. Rumore di onde in crescendo. Imprecazioni sparse. Una zattera improvvisata composta di tronchi di abete, brandelli di carta, pezzi di vetro e corna di bue bascula nella tempesta. A bordo, una pletora indistinta di tripponi diafani e agglutinati, flaccidi e gelatinosi, quasi trasparenti, gnaùla maledizioni in un idioma indoeuropeo spurio e difficilmente comprensibile]

MATTEO SALVINI: Pòta.
ROBERTO MARONI: Tel chi el tempestùn, va là. Lo sapevo che alla fine.
MATTEO SALVINI: Ma «alla fine» cosa. Ne usciremo indenni.
ROBERTO MARONI: …Come ne usciremo?
MATTEO SALVINI: Scusa. Ne usciremo a cazzo duro.
ROBERTO MARONI: Bra’. Comunque mi piace quando usi le parole complicate. Quel pizzico di intellettualismo ti dà quel non so che di arrapante. Baciami, stupido.

[Si baciano. E sì. Mi dispiace. Dovrete visualizzarlo, Ndr]

BORGHEZIO: Ricchioni.
MATTEO SALVINI: Ma se fino a un’ora fa stavi sfruttando l’onda lunga per farti entrare meglio l’ampolla nel culo.
BORGHEZIO: L’ano è virile, i baci sono da froci. E comunque sono disperato, lasciami in pace. È tutta colpa vostra.
ROBERTO MARONI: Nostra? Hai cominciato tu anni fa a spruzzare il DDT sui sedili dei mezzi pubblici che usavano i négher.
MATTEO SALVINI: E facevi amicizia coi nazisti dell’Illinòi un giorno sì e l’altro pure.
UMBERTO BOSSI: Gnumfl bròu gna!
ROBERTO MARONI: Ha ragione l’Umberto, usavi pure i soldi del partito per andarli a trovare! (Umberto, tieni una salvietta, sei tutto sporco lì).
UMBERTO BOSSI: Pluffo gn.
MATTEO SALVINI: Sì, lì, senatùr, lì. Borghezio, visto che conti quanto il prepuzio di un ebreo, dovresti farci il piacere di morire pazzo, invece di giudicare gente più intelligente di te. Sei così inutile che sei l’unico senza nome proprio.
BORGHEZIO: Al ruzzle dei dialetti dell’alta bergamasca vi ho stracciati tutti, testa di romano.
ROBERTO MARONI: Figa, certo, era una schermata con solo umlaut, hai vinto con «Ölöœöǖəȏü», che poi secondo me te lo sei anche inventato.
BORGHEZIO: (singhiozza) Mia zia me lo diceva sempre.
UMBERTO BOSSI: Aùgnawrhou, mgnark, Ü.
ROBERTO MARONI: Ha ragione il vecchio budino, qui. Abbiamo fatto irritare gli dei dell’Oltrepo.
MATTEO SALVINI: Ma abbiamo sacrificato ottanta négher, ne parla tutta Europa!
BORGHEZIO: Forse Nettuno voleva degli asiatici.
MATTEO SALVINI: O dei peruviani.
BORGHEZIO: Ora mi dici che cazzo se ne fa Nettuno dei peruviani.
MATTEO SALVINI: Be’, è un’area con grande tradizione di sacrifici umani.
BORGHEZIO: E poi Nettuno non è un dio pagano in quel senso. Non è parente a Tutatis né a Thor né al Dio Po.
MATTEO SALVINI: Sempre pagano è. Se preferisci, facciamo che è Netüno.
BORGHEZIO: Meglio, sì.

[Un tuono fa ribollire le onde, poi un fulmine cala da una gigantesca nube negra e infiamma il vessillo verde posto in cima al palo che si erge al centro della zattera, i cui occupanti mandano un gridolino lievemente umlato.]

MATTEO SALVINI: Dio po’!
BORGHEZIO: Leva quell’apostrofo, scostumato.
MATTEO SALVINI: Il didascalista dice che la nube è negra. A me pare un brutto segno.
ROBERTO MARONI: Il didascalista è comunista. Pensiamo a cosa possiamo aver fatto per irritare gli dei. Dobbiamo subito bruciare qualcosa. Non so, un bangla, un corano, ma anche un libro qualsiasi.
BORGHEZIO: Io ho qui un libro della Laterza.
MATTEO SALVINI: E che ci fai tu con un libro? E poi che c’entra?
BORGHEZIO: È quello di Bersani, mi serviva per un rituale. E la Laterza è pure di Bari.
MATTEO SALVINI: Genio. È la tempesta perfetta!

[Salvini, servendosi delle fiamme che promanano da ciò che resta del verde vessillo del Nord, brucia «Per una buona ragione» di Pier Luigi Bersani, inneggiando a tutti i négher morti del mondo.]

MATTEO SALVINI: Oh Nettuno…
ROBERTO MARONI: …COUGH!
MATTEO SALVINI: …sì. Scusa. Dicevo. Oh Nètüno, ti offriamo in dono questo simbolo di debolezza, frocitudine, romaladrò, comunistanza e cacca terrona. Allontana le nube negra che invade le nostre coste, che minaccia le nostre case, che infanga le nostre strade e concupisce le nostre do…
UMBERTO BOSSI: ÜÖR!!!
MATTEO SALVINI: Senatùr, lei sta cominciando a infrangermi seriamente le ampoll…
ROBERTO MARONI: Aaaaarrrggh!

[Matteo Salvini si volta e il suo volto già pallido stinge quasi nel fluorescente. Una mano schifosamente negra è spuntata dalle onde dell’oceano e ha afferrato la caviglia del senatùr. In pochi secondi, altre mani afferrano le assi esterne e dalla spuma cominciano ad affiorare volti scarnificati, tumefatti, gonfi e irrigiditi. Gli occhi acquosi e inespressivi, da sotto le arcate sopraccigliari scimmiescamente negroidi, fissano i flaccidi corpi degli occupanti della zattera con un riflesso famelico]

MATTEO SALVINI: Odiopodiopodiopoinéghermortinettunoaiutacifigadigesùaiutaci
NEGHER MORTO 1: …Compra …rosa! Uno… Euro…
BORGHEZIO: Vai via! Non c’è lavoro per tutti qua sopra!
NEGHER MORTO 2: …Moni …transfe…!
MATTEO SALVINI: Dovete pagarci le tasse su quesi soldi non è giusto aiuto aiutateci!
NEGHER MORTO 3: …Acendino… pe… panino… tu compra… pe mangia… colanina… Io fame
ROBERTO MARONI: Vai a laurà, negher! A casa tua! Aiuto! Non abbiamo niente da mang…
NEGHER MORTI (insieme): Noi fame…

[I négher morti vincono facilmente le resistenze dei lattiginosi e inutili corpi meduseiformi degli italici alfieri della tradizione italo-celtica (?) e cominciano a farli a brandelli. Il sangue si mischia alla spuma del mare e presto la zattera è sinistramente vuota. Le mani cadaveriche dei divoratori scompaiono nuovamente tra i flutti e l’ultimo lembo del vessillo in fiamme si stacca. Verrà ritrovato, due settimane dopo, sulle coste libiche, dove un bambino lo userà per giocare a rubabandiera con la sorella. La zattera delle meduse, invece, verrà portata dal vento per qualche giorno, finché non sarà speronata nottetempo al largo di Lampedusa da una motovedetta della Guardia Costiera, che a malapena si accorgerà dell’impatto. La profezia dice che non appena toccherà il fondo, Nettuno si calmerà. Nel frattempo, invece di lasciare commenti da porci necrofori nazisti sotto articoli che parlano di tragedie, potreste sempre tacere e chiudere il sipario.]