(Il pubblico si siede in sala. Le sedie sono particolarmente scomode, l’illuminazione è fioca e discontinua, le contrazioni di molte narici e le seguenti smorfie accartocciate evidenziano la presenza di uno scolo fognario probabilmente rotto. Gli orchestrali prendono posto, ma il taglio dei fondi al teatro ha fatto sì che non ci siano molti strumenti disponibili. La maggior parte dei musicisti si accorda le ginocchia e i polpastrelli, altri scuotono delle lattine mentre altri ancora fanno suoni con la lingua. Il sipario si apre. Un vecchio e un giovane stanno camminando sulle assi del palco)

STREPSIADE: Ahaha.
FIDIPPIDE: Sì, e poi sai cosa? Lui fa una cosa tipo «Gne gne gne, so’ IO che nun me candido più con voi», poi non so, ero per terra a rotolare, probabilmente ha scorreggiato tenendosi il trippone e ha detto «Daje Lazie, da Tibburtina a Anagni ovungue è Frozinone».
STREPSIADE: Da piegarsi in due.
FIDIPPIDE: Tanta roba.
STREPSIADE: E dice pure che se ricandida. Oh, incredibile, funziona.

(Un terzo uomo, ancora più vecchio del vecchio Strepsiade, si appropinqua dalle quinte con aria scandalizzata)

ARISTOFANE: Voi due che fate qua? Tornate dal rogo della scuola di Socrate?
STREPSIADE: Rogo?
FIDIPPIDE: Buona anche questa.
STREPSIADE: Eravamo alla seduta del consiglio regionale. Un taglio. Una ficata.
ARISTOFANE: Non capisco. Fate parte di un grande esempio di commedia greca. Io vi ho scritto per denunciare la vacuità dei sofismi, della retorica, del malcostume linguistico e filosofico. Avete un compito narratologico ben preciso.
STREPSIADE: AvevAMO.
FIDIPPIDE: Poi abbiamo visto che non valeva mezza candela. Funziona, Aristo’. Socrate, i sofismi, quella roba là. Troppo fico. Cioè, non a livello de socrate-socrate, eh. Più a livello Ghébbels.
STREPSIADE: Ahaha.
ARISTOFANE: Follia. E poi quel nome non si scrive così.
STREPSIADE: Come ti pare. Fattostà che tutti questi, oh, incredibile, li trovano che si mangiano la merda dal palmo delle mani e urlano «Fono una perfona educatiffima come fi permette lei!» E quelli ci credono. Cioè, ci credono, ora non saprei se ci credono, ma annuiscono.
FIDIPPIDE: In genere perché si stanno mangiando della merda dal palmo delle mani.
ARISTOFANE: A tali vette di mostruosità si è spinto il demone della retorica, nella sua scalata al Taigeto?
STREPSIADE: (Questo è scemo)
FIDIPPIDE: (È ‘na salma, lascialo sta’) No, Aristo’, ma che retorica.
STREPSIADE: Cioè, se dici la roba di Socrate e dei sofisti nun se stamo a capisse. Qui se parla manco de metà della prima lezione.
FIDIPPIDE: Ma manco i primi cinque minuti

[ride sordianamente].
STREPSIADE: Non è che ci stanno argomentazioni, giochi di logica, di lingua…
FIDIPPIDE: Manco sanno parla’ [scoppia a ridere fino alle lacrime] STREPSIADE: Dicono tipo «Le non sa chi fossi io», e poi con quel cipiglio…
FIDIPPIDE: Tipo che per loro «Eschilo» è il congiuntivo di «fallo uscire».
STREPSIADE: Quest’epoca è uno sgàro. È da sentirsi male. Si ride alle lacrime.
FIDIPPIDE: Ma quell’altra? L’igienista dentale? Roba che una bambola gonfiabile comprata su eBay al confronto sembra Elsa Morante, e che dice? «Ma io posso vivere tranquillamente anche con 4’500 euro al mese».
STREPSIADE: Tu quanto prendi di pensione, Aristo’?
ARISTOFANE: Milleottanta. Se mi abbassano l’IRPEF, millennovantacinque.
FIDIPPIDE: Nun te spenne tutto in ostriche, ahò.

(Una mamma e una bambina passano sul fondo del palco. La mamma osserva la scena, afferra il braccio della bambina e accelera il passo)

BAMBINA: Mamma, mamma, possiamo fermarci a vedere lo spettacolo?
MADRE: Vieni via. Non lo vedi che hanno addosso delle lenzuola? Lo sai chi va in giro mezzo nudo con addosso delle lenzuola?
BAMBINA: I matti?
MADRE: No. I poveri.

(Si allontanano)

ARISTOFANE: Vedo che c’è tensione sociale.
FIDIPPIDE: Prova ad andare allo stadio, allora.
STREPSIADE: E lo scout co’ la faccia de quello der banco davanti che nun te passa er compito? Quello che ripete sempre le stesse tre frasi. Ogni volta che lo inquadrano lui fa la faccia di quello concentrato, e nessuno mai che gli dice che sembra un bambino con dei problemi che sta succhiando il pisello di un cane.
FIDIPPIDE: Quello non lo vorrei troppo vicino al culo di mio figlio.
STREPSIADE: Senti questa Aristo’: so’ du’ anni che ‘n’ dice ‘ncazzo, mo’ dice che l’accordo Bersani-Vendola e i socialisti (la notizia è che ci stanno ancora i socialisti) manca di contenuti.
FIDIPPIDE: Dove per contenuto s’intende lui.
STREPSIADE: E magari vince pure.
FIDIPPIDE: Era tutto contento che in America s’è vinto di nuovo. Si sente chiamato in causa, bontà sua.
ARISTOFANE: Questa commedia non sta riuscendo. Devo metterci dei personaggi nuovi. Tu, vieni qua. E anche tu.

(Un pachiderma rossastro entra rantolando da una quinta, piegando le assi del palco. Un uomo i cui lineamenti sono scolpiti dall’astuzia e dalla dignità lo segue a ruota, impettito)

PACHIDERMA ROSSASTRO: Che c’entro io?
ARISTOFANE: Mettiti al centro del salotto. Tu invece, cos’hai da dire?
PERICLE: Io? Mah, io vorrei uno stravecchio con un cubetto di ghiaccio.
ARISTOFANE: Abbiamo fallito una commedia di rivoluzione scrivendone una di reazione, non abbiamo più personaggi per le palingenesi, i personaggi di un tempo scoprono il lato oscuro del lato oscuro e annodano la narrazione. Tu che – dico per dire – ti sei inventato la democrazia e lo statuto moderno di governo, ora ci dici come se ne esce.
PERICLE: Uscirne? Ma se funziona da dio. Senti, hai mica mille euro per la guerra sacra? Te li ridò.
ARISTOFANE: Lo vedi il pachiderma?
PERICLE: Quale pachiderma?
ARISTOFANE: Lo sapevo.
FIDIPPIDE: Non ci sto capendo niente, stavolta.
STREPSIADE: La commedia è fallita, Fidippide. I personaggi bonari degli anni ’80 sono stati sostituiti da figuranti, predoni gargantueschi e pettinaculi del sisalvichipuò. La povertà fa di nuovo paura, non abbiamo abbastanza soldi da permetterci la democrazia, i vari Pericle del mondo sembra abbiano altri progetti e Aristofane sta provando la tecnica dell’elefante in salotto.
PACHIDERMA ROSSASTRO: «Pachiderma rossastro», prego.
FIDIPPIDE: Dobbiamo lasciar perdere gli svaghi e andare a bruciare il tempio dei sofisti, quindi?
STREPSIADE: Non possiamo. Ci siamo dentro.
FIDIPPIDE: Be’, sai, a mali estremi.

(Fidippide prende una copia dell’«Avanti!», dà fuoco a un angolo e con esso incendia il sipario. Il pachiderma rossastro, colto dal panico, si alza dal salotto e corre impazzito verso il pubblico, schiacciandone a morte buona parte e seminando devastazione. Sul palco, Aristofane e Pericle dibattono sul principio di transizione democratica e si trovano infine compatti sull’idea che sarebbe il caso di fare affidamento su delle primarie, sì, ma con regole ferree. Mentre il testo e il contesto vanno a fuoco – di comune accordo – nel teatro qualcuno comincia ad applaudire. Il sipario, anche ridotto a brandelli incandescenti, può considerarsi sempre più chiuso)