…se non ti serve la fattura.
Ecco, lo sapevo. Lucy in the Sky with Dentist. Una di quelle frasi che mi dilatano il tempo, mi straniano completamente e mi causano allucinazioni tipo l’effetto di una canna descritto da un convinto proibizionista che mai ha dato un tiro che sia uno in vita sua. Mah. Vediamo. Se mi serve. Mi servono di più un centinaio di euro risparmiati e in tasca subito o custodire della carta in un faldone per un anno per poi consegnarla a un tizio che fa dei conti di cui non capisco nulla, con la pia illusione di poter risparmiare il più possibile? È meglio un pompino subito o la prospettiva di limonare tra qualche mese? Meglio un fritto misto tra dieci minuti o fette biscottate e maionese beige tra una settimana?
Ma forse mi pare una scelta troppo facile, consideriamo il non verbale delle parti. Io sono quello steso con la bocca aperta, tu sei quello dall’altra parte della siringa e del trapano. Tu mi tocchi tutto il tempo che sto qui, io forse ti ho dato la mano di tanto in tanto. Siamo nel tuo studio: tu giochi in casa, io in trasferta. Io vengo qui da solo, tu sei circondato da assistenti con dei telai che mi ricordano i Vanity Fair nella tua sala d’aspetto. Io, qui, sbavo spesso.
Ma forse mi pare una scelta troppo facile, consideriamo l’aspetto linguistico. “La fattura”. Pare una roba da streghe. Figurati se vengo da un laureato in materie scientifiche a chiedergli una roba da fattucchiera. E poi, già che ci sono, magari gli chiedo un filtro d’amore e di lanciare il malocchio su qualcuno…
Ma forse mi pare una scelta troppo facile, consideriamo i rapporti di potere. Io vengo qui se sto male, tu sei quello che mi deve far stare bene. Io sono il promotore morale di una legge che mi permetta di tenere in ostaggio i tuoi familiari mentre mi trapani la faccia, di modo da poter iniziare a falcidiarti le zie se mi fai male, ma ancora -di definitivo- sulla Gazzetta Ufficiale non c’è nulla.
Saranno gli effetti della radiografia o la mancanza di ossigeno al cervello dovuta alle difficoltà respiratorie causate dal necessario corpetto in piombo, ma mi appare la mia coscienza, con le sembianze di Marie Curie che, in silenzio, mi punta il dito che neanche Fra’ Cristoforo.
Sì, mi serve, la fattura.
Quella nera, decappottata, che riposa nel vialetto come un monumento alle devitalizzazioni ufficiose deve essere la tua Audi TTS Coupé. Chissà se ti serve una fiancata nella quale non sia incisa la scritta “Vuoi ridere? Chiedimi la dichiarazione dei redditi.”, o se ti può essere utile che io non faccia la pipì sui gerani fuori dallo studio, o…
Marie Curie mi dà uno scappellotto. Faccio per urlarle “Oh, Polonia! Non ho ancora fatto un cazzo!”, ma lei mi indica in silenzio una bancarella poco lontano. Corro, compro, lascio, vado via.
Chi lo sa, se perderai qualche minuto di sonno a chiederti chi ti ha lasciato sul sedile del passeggero del’Audi TTS Coupé una copia de “Il Gattopardo”.