(Camilla si muove lentamente, sente di avere poca energia. Ha salito le scale stando tra il lato sinistro e il centro dei gradini, dalla parte più lontana dal corrimano. Una ventina di persone, sedute in cerchio in una sala ampia. Il rumore del traffico giunge ovattato. C’è chi parlotta con il vicino di sedia, chi disegna nervosamente sul suo blocco per appunti, chi smanetta col cellulare. Il dottore richiama l’attenzione di tutti, saluta, dichiara aperta la seduta e dà la parola alla nuova arrivata che, raddrizzando la schiena e mettendosi i palmi delle mani sulle ginocchia, inizia a parlare)
Camilla: “Ciao, io mi chiamo Camilla e sono una commessa”
Tutti: “Ciao Camilla”
Doc: “Ciao Camilla, benvenuta nel nostro gruppo di Auto Muto Aiuto per non occupati. C’è qualcosa che ti senti di raccontare di te o della tua vita?”
Camilla: “Non c’è molto da raccontare. Ho trent’anni e faccio… anzi, facevo la commessa nei negozi di abbigliamento da quando ne avevo diciotto. Poi, l’anno scorso, le cose hanno iniziato ad andare male e così i titolari hanno dovuto dimezzare i turni. La gente continuava a non comprare per via della crisi, dell’incertezza sulle tasse sulla casa, dell’aumento dell’IVA, così il negozio per cui lavoravo ha chiuso…”
Doc: “Grazie Camilla per aver raccontato un po’ della tua storia. Qualcuno vuole dire qualcosa a Camilla?”
(Doc si guarda intorno e cerca con gli occhi gli altri due vertici del triangolo comunicativo, Mattia e Andrea. Il primo a parlare è Mattia)
Mattia: “Io ho notato che Camilla ha esordito con Sono una commessa ma ha poi continuato con Faccio la commessa. Mi ha risuonato perché, quando ho perso il lavoro io, mi sentivo vuoto, senza un’identità. Non ero più ciò che ho sempre pensato essere e che sarei stato.”
(Camilla incrocia le gambe e si appoggia pesantemente allo schienale. Doc lo nota)
Doc: “Camilla, possiamo continuare a confrontarci su quanto ci hai portato qui? Il gruppo sa bene, come anche tu stai imparando, che qui ci confrontiamo sulle parole, sui comportamenti. Non sulla persona che li utilizza”
Camilla: “… sì, ero un po’ sorpresa”
Doc: “A cosa può servirti questa sorpresa? Quali domande nuove potrebbe portare con sé?”
Camilla: “Non saprei”
Doc: “Possiamo fermarci e prenderci il tempo per pensare, oppure chiedere l’aiuto del gruppo, se ti va”
Camilla: “Chiedo l’aiuto del pubblico!”
(Tutti ridono, e Camilla insieme a loro. Perde un po’ del rossore che l’aveva pervasa quando era stata interpellata. Ridendo, rimane a gambe accavallate ma allontana un po’ le ginocchia tra loro. Si protende in avanti. Quando cala il rumore, Doc si guarda in giro qualche frazione di secondo e trova gli occhi di Andrea)
Andrea: “Io facevo il cuoco. Quando ho dovuto smettere, mi sono sentito come diceva Mattia, perché pensavo di essere un cuoco. Viviamo in un mondo in cui, di fianco al nome, viene scritta la professione. La professione però è il lavoro che fai, non ciò che sei. Di sicuro, almeno, non tutto ciò che sei, secondo me… Poi, certo, ero anche un po’ confuso perché – oltre a dover riconsiderare chi ero – non potendo più fare il cuoco, sono iniziati i problemi economici… Io prendevo anche piuttosto bene…”
Camilla: “Io, insomma, mica tanto…” (scavallando le gambe, allargando le braccia e mostrando i palmi delle mani)
Mattia: “Io, prendevo benone! Andrea, Camilla è più fortunata di noi, a non fare più il suo lavoro!”
(Tutti ridono ancora una volta. Non lo sappiamo, come si è conclusa la seduta, se Camilla è tornata in quel gruppo, se le cose sono migliorate da lì a poco o se c’è voluto più tempo. Quello che sappiamo è che, alla fine della seduta, molti dei partecipanti si sono fermati qualche minuto fuori a gustarsi la luce di quei primi di maggio e che Camilla, tornando a casa con un buon passo, pensava che era da poco passato il 25 aprile e che Resistere, a guardarlo bene, significa anche esistere di nuovo)