(Il sipario si apre su un paesaggio lunare, una radura semidesertica battuta da brezze fetide e permeata dal lezzo delle carcasse. L’aria è una muraglia di sudore nebulizzato, l’atmosfera è grave e opprimente. Banali cactus e banali avvoltoi arricchiscono questo banale teatro naturale. I disgustosi volatili saprofagi scacacciano sui cactus con un’espressione tanto vuota e deprimente da ricordare un’uscita omofoba di Fioroni. La bruma si apre leggermente al passaggio di due figure, una che procede a cavallo e l’altra a piedi, a fianco della prima. Il cavallo ha un’andatura zoppicante ed emette versi disgustosi. Le figure, ancora in ombra nella foschia dell’afa, rompono il silenzio.)

UOMO A CAVALLO: Orsù, fedele e nobile destriero.
UOMO A PIEDI: È una carcassa barcollante, vecchio imbecille effeminato. Puzza più delle pieghe della mia trippa, e sta seminando una scia di diarrea visibile dalla luna.
CAVALLO: (vomita)
UOMO A CAVALLO: Niente puzza più delle pieghe della tua trippa, gigantesco orrore deforme. Buono, destriero. Siamo quasi arrivati, nobile erede di Bucefalo.
UOMO A PIEDI: “Proletaria e patetica riserva di proteine e ferro”, suggerirei.
UOMO A CAVALLO: Nessuno proverà a mangiarlo, specie tu, disgustoso ciccione laido e reazionario. Il mio destriero è un animale di rango.
CAVALLO: (inciampa, barcolla, rilascia una scarica di diarrea)
UOMO A PIEDI: Vedo.

(Un’improvvisa raffica di vento torrido spazza via la coltre che incombe sulla scena, permettendoci di vedere meglio i due uomini. L’uomo a cavallo somiglia vagamente a Ian McKellan, è vestito con un’armatura rabberciata composta di lattine di sottomarche di legumi; nella mano sinistra regge un bidone dell’immondizia a mo’ di scudo e con la destra impugna uno scopettone appuntito. L’uomo a piedi è un disgustoso obeso dallo sguardo insieme cinico e menomato. Una barba rossastra incornicia i suoi lineamenti stupidi e volgari. La sua voce nasale, resa ancor più irritante da una erre che si ammoscia e si arrota in modo lardoso, sembra la triste, involontaria parodia del concetto stesso di sindrome di Down.)

UOMO A CAVALLO: Guarda laggiù, perfido panzone privo di ragion d’essere, scorreggia solida, merda gassosa rappresa: il vento ci ha rivelato il prossimo obiettivo. Laggiù di lontano intravedo il Castello dei Maghi Neri.
UOMO A PIEDI: È una banca, vecchia checca senza Dio. Una maledetta banca diroccata, una filiale di Bankia. Te recuerdi adesso, tisico busone delirante? L’ennesima banca fallita. Questo deserto è pieno di banche fallite. Stamattina mi hai fatto saltare la quarta colazione per caricare le rovine del Banco di Santander, e la quinta perché eri convinto che un gruppo di quattro vecchie e sei bambini che si seccavano al sole della piazzetta di un villaggio rinsecchito fossero l’avanguardia di una rivoluzione. E volevi anche guidarli all’assalto. Puzzolenti straccioni retrogradi che nemmeno sanno più cosa sia una banca o a cosa serva.
UOMO A CAVALLO: Orrore! Puerta del Sol, perla della bianca Madrid, sarebbe la piazzetta di un villaggio rinsecchito?
UOMO A PIEDI: Sembra che lo sperma contenga allucinogeni.
UOMO A CAVALLO: Sappi, vescicona di sterco dall’eloquio fascista, che il Castello dei Maghi Neri è fonte di mali infiniti per la nostra terra. Le loro pozioni mefitiche si sono riversate sulle nostre terre e ora il nostro grande popolo, conquistatore dei due mondi e culla di cultura, rischia la fame e l’oblio. È nostra splendida e imperitura missione quella di di restituire il diritto agli oppressi, la libertà agli schiavizzati, il respiro ai soffocati. Dobbiamo combatterli. Il nostro unico futuro è nel sogno, nella volontà e nell desiderio.
UOMO A PIEDI: Tu devi aver preso troppi cazzi nel culo, decrepito mucchio d’ossa rincoglionito. È tutto finito da un pezzo. Non ci sono fanciulle, non ci sono principesse, non ci sono draghi, non ci sono maghi, non ci sono prestiti BCE, non ci sono Eurobond, non c’è più niente. Siamo andati tutti in default dieci anni fa. Non ci sono più nazioni, non ci sono più confini né barriere. È tutto lo stesso piatto deserto di merda, pieno di povertà e di straccioni lunatici e pateticamente retorici come te. C’è rimasto solo il Casinò/Parlamento di Toledo, dove mi aspettano per il poker e dove voteremo la legge sulla legalizzazione del poker live e dove fonderemo il giornale che parla della mia passione, che guarda caso è il poker. E visto che un cazzone è uscito dal parlamento e io ero in coda, tra qualche mese posso giocarmi le indennità anche sulle doppiecoppie. Sono il nuovo che avanza, l’hijo de puta dell’all in. Così raccolgo anche le firme per vietare il paracadutismo. E vai così e forza Juve. A parte nella prima di campionato dove mi sono accordato col portiere per due gol subiti. Ventimila puliti.
UOMO A CAVALLO: E poi sarei io, quello che delira.
UOMO A PIEDI: Probabilmente non capisci perché sei ricchione. La natura non ha avuto pietà di te.
UOMO A CAVALLO: La tua mente è marcia. Infatti avverto che ti esce sovente dall’ano, in grosse rate. E dalla bocca in egual misura, e con pari afrore.
UOMO A PIEDI: Taci, buliccio cancrenoso e sinistrorso. Guarda, sta arrivando il messaggero che ho inviato dal villaggio.

(Un omino corre trafelato in direzione dei due uomini. Ha una bisaccia piena di salumi cosparsi di nutella e di fiches. Il grassone appiedato ingurgita tutto il contenuto della bisaccia insieme a metà delle fiches e si strofina le restanti sulle zone erogene.)

UOMO A CAVALLO: Potevi lasciare qualcosa per il nobile destriero, putrida e colpevole carogna di strutto.
CAVALLO: (vomita)
UOMO A PIEDI: Come no, reginetta lasca di tutti gli ospizi, come no. Sei fortunato che il cavallo è ipocalorico, altrimenti saresti già a piedi. Ora lasciami parlare col messaggero.
MESSAGGERO (parlando velocissimo): Mañana de la mañana. La mañana de la mañana de la mañana ne la mañana por la mañana.
UOMO A PIEDI: Mañana?
MESSAGGERO: Mañana, mañana. Y mañana.
UOMO A CAVALLO: Ma cosa sta dicendo?
UOMO A PIEDI: È peruviano. I peruviani parlano così. Dice che la strada per il Casinò è ancora lunga, ma tra qualche miglio c’è una pasticceria e un cesso abbastanza grosso perché io mi ci possa sedere.
MESSAGGERO: Mañana de la mañanamañana, mañanmañanamañanamañana por la mañana. La mañanamañana de la mañanamañana hasta mañana. Mañana mañana mañana mañana mañana y mañana, hombre.
UOMO A PIEDI: Hombre, mañana.
UOMO A CAVALLO: Mi fa male la testa.
UOMO A PIEDI: Spero sia un ictus. Comunque lo straccione qua dice che se vuoi ci sono dei poveracci in pericolo, delle donzelle da salvare, dei draghi e dei giganti da sconfiggere, tutti comodamente radunati in un centro polifunzionale costruito da Ligresti su demanio pubblico, operazione sulla quale tra l’altro non ho nulla in contrario.
UOMO A CAVALLO: Lo immaginavo, madido rotoliforme mammifero semiumano servo del capitale. Bene. È ora che io vada. Nel deserto degli uomini, ogni uomo è sovrano del proprio destino. Sognare cose infinite e terribili e meravigliose è l’unico di sognare. Quindi suvvia, destriero, cavalchiamo verso i nostri sogni.

(Il destriero fa per avanzare, ma scivola nella pozza del suo vomito e si rompe tutte e quattro le zampe, accasciandosi su se stesso come una scultura di fiammiferi. L’uomo a piedi, inizialmente sorpreso, viene colto da un raptus bulimico e divora i resti del cavallo. Poi, non ancora sazio, sveste il vecchio cavaliere, che nel frattempo si era alzato e si stava avviando alla fantomatica pugna sulle sue proprie gambe, e divora anche lui. Il lardoso obbrobrio, tronfio delle sue calorie e delle sue fiches, rimane sul palcoscenico. Nonostante tutto. Inerte, laido, equivoco del pensiero e della natura, mangia anche il sipario, condannando il pubblico a vedere lui e gli altri come lui, sempiterni e obesi nello spirito e a volte anche nel corpo, permanere, permanere, permanere.)