Giochiamo a “facciamo che”, come da piccoli, in culo all’Xbox e alla Wii. Facciamo che nel 2007 ti avevano arrestato con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’estorsione e che nel 2010 ti condannavano a un anno e 5 mesi, poi facciamo anche che in un altro procedimento penale prendevi 5 anni di reclusione per estorsione aggravata e trattamento illecito di dati personali e che poi scappavi in Portogallo, però prima facciamo che eri stato fermato con banconote false e che durante la perquisizione di casa tua venivano fuori altre banconote false e una pistola di piccolo calibro, per cui facciamo che patteggiavi, poi facciamo che ti eri preso 3 anni e 10 mesi per bancarotta fraudolenta, poi facciamo che avevi malmenato un pubblico ufficiale, che eri stato condannato per corruzione, poi facciamo finta che eri imputato per ricettazione di un assegno, poi facciamo che per te avevano chiesto il rinvio a giudizio per diffamazione e poi facciamo anche che eri stato nei guai pure per bazzecole tipo evasione fiscale, violenza e resistenza a pubblico ufficiale e per varie infrazioni al codice della strada.
Dato che, però, facciamo che eri uno ganzo e che ti eri pure accoppiato con delle supermodelle (le quali ― indubbiamente ― sono per tutti noi esempio di raziocinio e meritocrazia), eri giustamente preoccupato per la tua immagine e temevi che venisse rovinata, per cui ti affrettavi a dichiarare (facciamo che potevi scegliere una tra le seguenti opzioni):
- “Sono stati anni strani, in cui ho rischiato di perdermi. Questa condanna può aiutarmi a capire i miei errori e a migliorare come persona”
- “Mi dispiace per le persone, soprattutto quelle a me vicine, che ho fatto soffrire e che farò soffrire con la mia forzata assenza”
- “Querelo qualsiasi persona si permetta di dire che ho pianto”
Facciamo che rispondevi “3”, allora io ti chiedevo conferma e tu ribadivi e poi io dicevo “Sei sicuro sicuro?” e te, oh, niente!, dritto come una BMW contro un platano. Allora facciamo che piangevo io, per svariati motivi, non ultimo quello che piangere era la cosa più umana e bella che potevi fare ― un barlume di coscienza, un colpo di reni di responsabilità ― ma anche perché io piango fisso.
A livello fisico, non ho i pettorali ognuno come un tagliere da sfoglia (e quindi, neppure un pisello che pare un mattarello), l’unico esercizio per gli addominali che ho mai fatto consiste nel fare la cacca, le mie camicie hanno i bottoni anche all’altezza della parte superiore dello sterno e non sono proprio bravo in generale, a fare il duro. Per cui, posso piangere, direi.
Sempre, piango. Piango quando un atleta taglia il traguardo, piango quando uno non lo taglia, piango quando mia moglie mi racconta i FdF (“Film da fighe”) perché è andata a vederne uno trascinata dalle amiche ― mi dice “… è una boiata, succede questo e questo e questo e vorrebbe far commuovere… ” e io piango già al secondo “questo” ― piango ai reading, piango di fronte alle pubblicità commoventi, piango di gioia e di tristezza, di soddisfazione e di nervoso, di frustrazione e di pienezza.
Se vuoi, se mi fai una foto in cui non piango, Fabri’, mi puoi ricattare.