Prima che voi comincereste a pensare male dicendo: “Ecco, prima mette il titolo in francese e poi sbaglia i congiuntivi”, vi spiego subito come stanno le cose: pochi giorni fa, passeggiando per le vie di Roma, mi sono ritrovato a canticchiare tra me e me Edith Piaf. Avete presente? Non! Rien de rien. Non! Je ne regrette rien. C’est payé, balayé, oublié. Je me fous du passé! quando, soffermandomi sul testo, ho realizzato che Non! Io regretto un botto di roba. Altroché payé, balayé et surtout, col cazzo che J’ai oublié.

Non è mai facile per un uomo ammettere i propri errori, i propri rimpianti, i rimorsi. Quante volte Roberto Baggio avrà ripensato a quel rigore? e quante volte, suo malgrado, è stato costretto a ricordarlo in pubblico, incalzato da qualche insensibile intervistatore, interessato solo a smuovere un pubblico anestetizzato dal palinsesto pomeridiano domenicale? Ecco, io ho deciso di fare lo stesso, voglio raccontarvi i miei errori. Attenzione, non perché voi possiate farne tesoro e non commetterli a vostra volta (a me che mi frega, anzi, meglio, così capisco di non essere il solo cretino qua dentro), ma per due ottimi motivi: 1) la mia compagna non è in casa e 2) me lo ha detto Rob Brezny.

Tralascerò il mio primo progetto imprenditoriale fallimentare: la fondazione di una Onlus, il Centro Uomini Maltrattati. Oddio, l’idea era anche buona, pessima è stata la manovra per la raccolta dei finanziamenti. Inviare alle fondazioni americane delle email con oggetto ”Give money for my CUM” non sortì gli effetti desiderati e mi procurò un mandato di comparizione in questura.

Eviterei anche di raccontare quando, ad Hong Kong, confessai alla mia ragazza di allora che per noi occidentali, gli asiatici, si assomigliano tutti. La sera la trovai a letto con un manager della Merril Lynch. Quando mi ha visto ha esclamato: “Ah, non eri tu? Be’, anche per noi cinesi voi occidentali avete tutti la stessa faccia. Però lui mi porta a mangiare al Mandarin Oriental, non dagli zozzoni di Kowloon”.

Sorvoliamo anche sulla mia brillante idea di cambiare nome all’anagrafe. Ero single da troppo tempo e da troppo tempo disperato, pensavo che cambiare il mio nome in “Affitto” potesse darmi qualche chance con tutte quelle Studentesse che Cercano Affitto e non lo trovano mai, almeno a giudicare da quanto rimangono esposti gli annunci in facoltà. Il primo colloquio non andò bene, mi volevano in stanze separate, mentre io le volevo tutte e due nello stesso letto.

Oppure quando creai un’agenzia di social media per i defunti. Quanta gente muore e lascia la sua pagina Facebook o il suo account Twitter inattivi? Ecco, io mi prendevo cura della loro virtual after life. Postavo, rebloggavo, twittavo come se non ci fosse un domani e, in effetti, per loro, il domani non c’era. Riuscii anche a raccattare una decina di clienti. Peccato che non saldarono mai le fatture.

Altro che il rigore di Baggio, io ho una serie di fallimenti che si possono contare sulle dita di un millepiedi. La mia vita cominciò con un’alzata di spalle dei miei genitori. Si aspettavano un bimba e invece venni fuori io. Misero una O finale al posto della A nel nome che avevano scelto per la piccola: Afflitto, invece di Afflitta. Manco lo sforzo di pensarne uno diverso. Non si posero il problema del nome, ma il nome del problema. E lo risolsero in fretta.

Ma il vero regret, le veritable, le grand regret che ho e che avrò sempre, è il tempo. Me lo sono lasciato sfuggire tra le mani. A vent’anni pensavo di averlo tutto e ora mi rendo conto che non è cosi. Il tempo non è una partita a poker, se perdi la mano, nessuno ti ridà le carte, non puoi chiederne altro, non puoi cambiarlo, te lo giochi nello stesso momento in cui ti viene dato. Sta a te decidere come. E io, spesso, non sempre, ma pur sempre troppe volte, l’ho buttato. Ho passato, dato la parola, bussato, lasciato. Puntato, certo, ma troppo timido per rilanciare, troppo insicuro per vedere.

E lo so, lo sento, che un giorno, quando arriverà il mio giorno, rimpiangerò il non aver mai imparato a nuotare, a suonare il violoncello, a guidare una moto da enduro nel deserto, a fare sesso con due donne che non fossero bidimensionali, e potrò incolpare solo me stesso. Perché il tempo per fare queste cose io lo avevo.

Epperò sono andato a votare quelle cazzo di inutili primarie.