Alla cena della vigilia, a casa del Merda, la tavola imbandita raccoglieva lo scibile politico umano, come fosse Antani. Zii berlusconiani spaccati tra ex AN, ex forzisti e puttanieri incalliti, parenti del PD divisi in correnti, ma pronti a prendersi il posto a capotavola, due studenti incazzati, tre apolitici, un’aspirante velina, un pro Di Pietro, tre grillini e il Merda.

Per l’occasione, la mamma del Merda aveva apparecchiato nel salone grande con tanto di servizio buono, bicchieri in cristallo e candele. Di contorno le lucine dell’albero, quelle del presepe e il semaforo all’angolo della strada.

Come tutte le vigilie di Natale, la tradizione voleva che le donne stessero chiuse in cucina a friggere e cucinare per un esercito di uomini, che lo scambio dei regali si facesse prima di cena e la tombola costasse 5 euro a cartella. Era l’unico modo per divertirsi a Natale, senza dover per forza sterminare l’intera famiglia col coltello da pane.

La vera tradizione però, indipendentemente che si trattasse della vigilia di Natale o della fine del Mondo, era quella di mangiare fino a strafogarsi. Non per fame, né tantomeno per gola. Mangiavano perché avevano uno stomaco, e questo bastava a giustificare l’inumana voracità. Il tutto discutendo di politica.

Ogni parente del Merda, un occhio al piatto e due alla televisione, pretendeva a turno di spiegarti il senso della vita. A bocca piena. La morale, alla fine di ogni discorso, era una sola: la politica si era mangiata il Paese e questo lo ripetevano per ogni portata servita a tavola.

Ovviamente anche il Merda, comodamente seduto, partecipava a quel tripudio di cibo e parole. Annuiva e beveva, fumava e dava ragione prima a uno e poi all’altro. Ogni tanto citava un passo dalla Privata Repubblica, poi un versetto tratto dal blog di Ciwati e quando stava in forma, pure un pensierino di Tigella. Il tutto come se fosse roba sua. Non importava se cadeva in contraddizione; agli occhi dei suoi parenti. il Merda era ormai diventato un vero e proprio intellettuale.

Così, in attesa di Gesù, il Merda provava a scacciar via la crisi da quella tavola imbandita. Come una specie di esorcista, ripeteva ricette magiche, agitava in aria le braccia e non lasciava parlare nessun altro. La crisi, per il Merda, era la causa maggiore della sofferenza umana. Come combatterla? Nessuno lo sapeva.

In realtà, il Merda non voleva combattere la crisi per ottenere una società più giusta, era pur sempre il Merda, mica il Don Chisciotte. Il Merda, come ogni membro rispettabile della sua famiglia, in realtà, cercava solo la maniera migliore per difendere il suo status quo, o meglio, il suo “plus-salario”. Perderlo avrebbe significato due cose: diventare poveri, ma soprattutto, diventare realmente inutili. Non solo per i soldi, ma perché si sarebbe sentito escluso dal sistema. Perso il lavoro, il sistema avrebbe continuato ugualmente a funzionare. Bell’inculata. Tu, in pratica, se ci sei o no, è lo stesso. Era come pensare di boicottare i social network semplicemente cancellando l’account. Chi se ne sarebbe accorto? Nessuno.

Fine cena; le donne portavano di nuovo la pace, sotto forma di caffè e panettone. Il Merda, allora, trovava di nuovo il coraggio di vivere.

Giusto in tempo per celebrare, pubblicando su Instagram una foto col filtro Natale-Felice, perché pure questo Natale, se l’era quasi levato dai coglioni.

Buon Natale, Merda, e tante care cose.