Avete mai avuto una relazione online? Bene, neanche il Merda, almeno fino a qualche ora fa.

Il Merda apre la casella di posta e legge «1 nuovo messaggio». Il flusso sanguigno accelera improvvisamente scendendogli in picchiata verso l’uccello: è lei! L’oggetto recita «…», sulla destra una graffetta segnala un file allegato. Eccitato, lo apre e trova due tette. Lei indossa una felpa bianca con la zip leggermente abbassata. La magliettina nera, insieme al reggiseno, sembra sia stata tirata su con una mossa rapida, giusto il tempo di fare la foto.

Non c’è amore in quell’autoscatto, né tantomeno erotismo o narcisismo. Soprattutto, non c’è nemmeno la testa della ragazza, volutamente tagliata. È il formato standard delle “pic” per farcelo venire duro a domicilio. La foto biometrica dell’erotismo via email, dove il problema di dover avere un’espressione seriosa è stato decapitato alla fonte e si va dritti al sodo. Vuoi due tette? Eccotele.

L’autoscatto, uno di quelli fatti con la webcam, è scuro, un po’ sgranato e con sfumature blu-violacee. In alternativa, lei avrebbe potuto inviargli una foto in versione bagno, con iPhone e flash, ma in quel caso le tette sarebbero state di un rosso acceso tendente all’arancione. Nell’email, la Maria Antonietta del Merda gli ha anche suggerito cosa farci con quella foto: «Amore pensami ;)».

Se il Merda non avesse tutto il sangue concentrato nella zona pelvica, capirebbe subito che quella è una foto d’archivio. No way, Merda. Dal momento in cui lei ha letto la tua richiesta d’invio ci vogliono 2 minuti per pensarci su, 2 minuti per decidere di sì, 5 per ripensarci e chiedere una contropartita tecnica. Poi bisogna cercare l’iPhone, lo specchio e inviarla.  Invece ti è arrivata dopo un solo minuto: è d’archivio.

Il Merda, però, è refrattario a certi argomenti. A forza di fissare a lungo quelle enormi tette, è finito sotto botta ormonale, lasciando il comando delle operazioni al suo uccello. Il Merda schiaccia istintivamente il tasto “rispondi” e le confessa di non aver mai visto due tette così (così sgranate?). Poi le promette una foto della sua verga, dura e venosa, e le chiede un’altra prova del suo amore: una foto del culo. A quel punto, dopo l’ennesimo scambio di foto, a entrambi restano due opzioni: il sesso su Skype o l’incontro.

Il Merda sceglie entrambi.

Connessi su Skype, i due iniziano a toccarsi sul divano. Dato che lei non ha una connessione veloce, l’immagine del Merda che si tira una sega le arriva a scatti, sfocata e con una tonalità sul grigio metallo. Dall’altra parte, invece, il Merda è costretto abbassare e alzare lo schermo del computer in continuazione mentre si tocca; ne nasce un problema: se abbassa del tutto lo schermo per inquadrarsi l’uccello, lui non vede più nulla; se lo tira su per guardarle le tette, a lei arriva solo mezza testa e il quadro sullo sfondo.

Perché allora non consumare il destino in una botta sola?

Due ore dopo sono a letto insieme, ma il Merda sente che qualche cosa non va. Il fatto è che l’erotismo non era provocato dalla foto, né tantomeno dal sesso su Skype. Il suo cazzo non diventava d’acciaio per le tette o quel culetto in 400 dpi, ma per via della scarica ormonale e di tutte le fantasie legate al suo immaginario erotico. In pratica, il Merda aveva costruito attorno a quelle tette l’amante perfetta. Ovviamente, succede lo stesso anche a lei e, così, a scopare, sono solo le idealizzazioni dei loro sogni erotici, e per non più di 10 minuti. Lei raggiunge ugualmente l’orgasmo, perché dopo anni di sesso su Skype, ha l’ipotalamo più sviluppato del clitoride. Lui è mediamente contento. Alla fine è stato meglio del cinema in 3D.

Tornando a casa il Merda può allora twittare felice: «Ho conosciuto una persona straordinaria, chissà se ci rivedremo!».

No, non capiterà, Merda, ma non importa, perché su internet qualcun altro ti ama già.