(È una mattina fredda. Una nebbia melmosa avvolge una brulla pianura dell’Italia settentrionale. Nell’aria c’è odore di zuppa di verdure marce, merda di cavallo e palude. Una figura avvolta in un mantello lacero, con uno spadone al fianco, si trascina stancamente verso un capannello di uomini. La nebbia impedisce di scorgere i lineamenti degli astanti, ma si capisce che si tratta di soldati che confabulano, sputano per terra e si lasciano andare a moti intestinali.)

ALBERTO DA GIUSSANO: Ma che cazzo fate? È tardi.
SOLDATO 1: Non si vede? Rimettiamo l’anima.
SOLDATO 2: Io l’avevo detto alla Luisa che il rognone non va fritto nelle trippe.
SOLDATO 3 (abbassandosi i pantaloni, sedendosi e prorompendo in un getto di feci liquide): Usignùr. Me brusa.
ALBERTO DA GIUSSANO: Non ci posso credere.
SOLDATO 4 (vomita): Urrrff. Blah. Urp. Tu credi un po’ a quello che ti pare, ma le milizie bergamasche e il loro approvvigionatore militare si stanno facendo le grasse risate. “Sissì, ve le diamo noi le verdure fresche per la battaglia, siamo tutti fratelli della Lega Lombarda”. I fratelli di questa minchia meneghina.
MILIZIE BERGAMASCHE: Ahahah.
SOLDATO 2: Bastardi.
MILIZIE BERGAMASCHE: Quando la merda la monta in scagn, o che la spösa o che la fa dagn.
SOLDATO 3: Mettetevelo nel culo, quel dialetto di merda.
ALBERTO DA GIUSSANO: Oh, basta. Le truppe del Barbarossa scendono dalle Alpi per ricongiungersi a quelle pavesi. Dobbiamo correre a tagliare nel mezzo e attaccare la cavalleria di Federico I.
SOLDATO 1: E che facciamo, gli tiriamo in faccia la merda?
SOLDATO 4: Può essere una strategia elettorale.
SOLDATO 3: Comunicazione dal basso.
SOLDATO 2: Va’ che io lo sapevo, quelle merdacce bresciane. Varda qui che schifo.
SOLDATO 3: Figa.
SOLDATO 4: Perché, quei fottuti lodigiani? E i pavesi? E i comaschi? E quelle fighette dei cremonesi?
ALBERTO DA GIUSSANO: Occristoincroce, fatela finita, siamo una Lega. Condividiamo il coraggio, gli ideali, l’insofferenza per il tiranno invasore, la libertà, i ritua…
SOLDATO 1: Sì, e la diarrea e i rutti e il gesto dell’ombrello.
ALBERTO DA GIUSSANO: Vuoi essere accusato di tradimento?
SOLDATO 1: Ahah, sì, certo, e come mi punisci? Mi fai prendere il 60% delle preferenze a Verona?
SOLDATO 3: Oh, Alberto, varda qui, mi si è arrossato il cerchio magico.
ALBERTO DA GIUSSANO: …
SOLDATO 2: Uèi, figa, arriva una figa.

(Nella nebbia si intravedono i contorni di un vestito sgargiante, una lunga gonna dorata, degli scintillii. La figura avanza verso il gruppo, circondata da un piccolo seguito.)

SOLDATO 1: Figa. È un po’ che non vedo una figa. Appena arriva gli tocco i ciappétt.
SOLDATO 2: L’hai detto.
ALBERTO DA GIUSSANO: Dementi. Non è una figa. È il papa.
SOLDATO 3: Vabbeh, due colpi…
ALBERTO DA GIUSSANO: …
SOLDATO 3: Eh, oh.
SOLDATO 4: Vestito così, un po’ sangue lo fa.
ALESSANDRO III: Pace e bene, deficienti.
SOLDATO 1: Vostra sanità….
ALBERTO DA GIUSSANO: È “Santità”, imbecille.
SOLDATO 1: Ho fatto la Scuola Radio Elettra, mica il Tasso.
SOLDATO 2: Io ho fatto storia delle religioni a Tirana, il papa è tipo un vecchio vestito da figa che rappresenta tipo il figlio santo dello spirito madre, scrive il vangelo, fa i tuoni, gli arcobaleni, insomma ha una sua importanza. Almeno non è tedesco. Questo.
SOLDATO 3: Mio figlio, il piccolo, dice che a letto non è male.
SOLDATO 4: Dopo lo proviamo anche noi.
SOLDATO 3: E che facciamo, ci compromettiamo con Roma?
SOLDATO 4: A me Roma mi tira.
SOLDATO 1: Figa, sì. Ce l’ho rocciosissimo.
SOLDATO 4: Occhio che non ti venga un ictus.
SOLDATO 1: Ahaha.

(Alessandro III inarca un sopracciglio, poi si allontana di un paio di passi dai soldati prendendo Alberto da Giussano a braccetto.)

ALESSANDRO III: Alberto, mi sa che questa roba è una roba che non funziona, non si capisce.
ALBERTO DA GIUSSANO: Sei criptico come Tremonti.
ALESSANDRO III: Barbarossa sta tornando indietro.
ALBERTO DA GIUSSANO: …?
ALESSANDRO III: Ha visto il film di Martinelli e ha sbroccato. Il resto della pagliacciata poteva anche digerirlo, ma sai, lui è un umorale…
ALBERTO DA GIUSSANO: Ma che cazzo vuole, a lui lo fa coso, Rutger Hauer, cosa dovrei dire io, mi fa un ebreo, a me.
ALESSANDRO III: Hai qualcosa contro gli ebrei?
ALBERTO DA GIUSSANO: Sono infidi e penetranti come i terroni, ma più intelligenti.
ALESSANDRO III: Hai qualcosa contro i terroni?
ALBERTO DA GIUSSANO: Sono infidi e penetranti come gli ebrei, ma più stupidi.
ALESSANDRO III: Siamo tutti figli di dio. Io in special modo. Ma dicevamo: tocca lasciar perdere. Non è solo per un film di merda di Martinelli, che tanto fa solo film di merda. Abbiamo perso i comuni, la gente si è stufata. Il Sacro Romano Impero si è accordato per dare un successore tedesco al papato, e comunque loro esportano un sacco di roba in Cina e sostanzialmente se ne battono i teutonici coglioni, che siamo degli straccioni ridicoli. Le città del Nord si stanno sulle balle tra di loro, l’amministrazione centrale è corrotta e inflitrata. Hanno capito tutti che è una baracconata.
ALBERTO DA GIUSSANO: E io?
ALESSANDRO III: Ho detto allo Sforza di metterti a margine in qualche libro e di farti fighissimo. Poi qualche accolita di ubriaconi ti eleggerà come eroe senza aver letto manco una riga di quei libri. Sarai un condottiero sulla fiducia. La battaglia di Legnano non la facciamo, tanto non servirebbe a niente, ma la mettiamo nell’inno d’Italia. Tu non ci sarai, mi spiace, ma almeno la battaglia sì. Meglio di niente.
ALBERTO DA GIUSSANO: È una cosa di una tristezza che neanche la carriera di Gianfranco D’angelo.
ALESSANDRO III: Lo so. D’altra parte, chi va a Roma…
SOLDATO 1: “Roma ladrona!”
SOLDATO 2: Ahaha.
SOLDATO 3: Che forte.
SOLDATO 4: Dinne un’altra.
ALBERTO DA GIUSSANO (mestissimo): Ho capito. Rompete le righe.
SOLDATO 1: Qui al massimo ci si è rotto il culo.
SOLDATO 2: Ahah.
SOLDATO 3: È l’umorismo raffinato, che ci salva sempre.
ALBERTO DA GIUSSANO: Torno a casa. Faccio ritorno a… di dove cazzo sono, io?
ALESSANDRO III: Su wikipedia non lo dice.
SOLDATO 1: Vattene in Tanzania!
SOLDATO 4: Dai négher.
SOLDATO 2: Ahahaha. Figa, che ridere!
SOLDATO 3: Da piegarsi.
SOLDATO 1: Uèi, papa/figa, ma ci fai vedere sotto la gonna?
SOLDATO 3: Dai, tutti sul carroccio a fare le cosacce!
SOLDATO 3: Toga party!
ALESSANDRO III: Mmm. Ok.

(Papa Alessandro III alza la gonna del suo vestito papale e due soldati si infilano sotto. Gli altri due danno una pacca sulla spalla a Alberto Da Giussano, che se ne va a testa bassa e scompare nelle paludi. Un sipario di nebbia cala sulla scena, lasciando lo spettatore – e l’elettore – in compagnia di un meschino, pungente e intenso aroma di sterco.)