Ce l’ha fatta! L’aquila è atterr… No, aspettate un attimo, che animale era questa volta? Un lupo?? Ma no che non era un lupo, dev’essere una roba che vola. Un rat musqué?? Che diavolo è un rat musqué? Ah, ecco: Curiosity! Così si chiama il rover della Nasa appena atterrato su Marte: Curiosità. Quindi non si tratta di un animale. A colpo d’occhio la curiosità non dovrebbe nemmeno avere le ali, ma in un’epoca in cui le hanno pure gli assorbenti e c’è la Red Bull che le mette a tutto e tutti, forse le ha, le ali, la curiosità.
Di certo un paio d’ali non avrebbero stupito nessuno, visto che Curiosity ha attraversato l’antipatica e rarefatta atmosfera marziana con un sistema d’atterraggio complicato quanto lo sarebbe la Stele di Rosetta senza la parte in greco, con una manovra che colpire 99 piattelli su 100 in confronto sembra una passeggiata. Non caso i tecnici dell’agenzia spaziale americana avevano parlato di 7 minuti di terrore, riferendosi alla fase di atterraggio della sonda sul pianeta rosso, e di 7 anni di vacche magre, riferendosi all’eventuale taglio dei fondi in caso di fallimento della missione, costata, caffè più caffè in meno, 2 punto 5 – come dicono gli americani – miliardi di dollari, più o meno il valore di San Marino (solo terreno).
Alla fine però tutto è filato liscio. Curiosity, che in realtà si chiamerebbe Mars Science Laboratory, ma con un nome così per quando hai finito a chiamarla ha già consumato le sue batterie nucleari, ha raggiunto senza intoppi la superficie di Marte, ottenendo dai giudici olimpici un 8.5-8-9-8.5-8, e per dimostrarlo ha subito inviato la prima foto del pianeta, taken with Instagram, naturalmente. Il rover più accessoriato della storia dell’esplorazione planetaria, se escludiamo la sedia a rotelle di Stephen Hawking, dopo un paio di mesi di test per verificare le numerose funzionalità, come ad esempio la ricezione ottimale di Radio Maria e la sua conseguente diffusione sul non ancora catechizzato – come il nome lascia trasparire – Marte, inizierà a vagare per il pianeta, evitando accuratamente tutti i percorsi che prevedono il pagamento di un pedaggio, per tenere bassi i costi, in cerca di prove che dimostrino che il pianeta bolscevico e traditor abbia ospitato la vita, o che comunque ci si possa organizzare almeno un campeggio scout.
In realtà Marte, alla Nasa lo sanno bene, così come sapevano bene che l’Apollo 11 era atterrato in provincia di Grosseto, e non sulla Luna, ha ospitato la vita, e ancora la ospita, ma si tratta di creature in via d’estinzione. I rover inviati sulla superficie del pianeta rosso hanno infatti il brutto vizio di atterrare con le ruote proprio sopra queste sfortunate forme di vita, che per convenzione chiameremo gatti, spappolandole, il che giustifica a pieno l’appellativo di pianeta rosso, rosso sangue però. Altre 4 o 5 sonde e finalmente potremmo avere una risposta definitiva all’annosa questione: su Marte non c’è vita, perché siamo stati noi a farla fuori.