Tutto iniziò all’alba del terzo millennio, un po’ prima per i pendolari mal collegati. A ripensarci adesso, il Millennium bug non fu che un presagio di quello che sarebbe venuto; e Windows ME un abile bluff: chi avrebbe creduto, impantanato davanti a quel sistema operativo, che presto le macchine avrebbero dominato il mondo?

Noi umani ci siamo sempre vantati, fin dai primordi, dell’uso della tecnologia; questa nostra caratteristica, poco prima della catastrofe, degenerò nelle gare a chi ce l’aveva più lungo, il SUV, o più larga, la TV. Unica specie animale in grado di superare i limiti impostici dalla natura attraverso gli strumenti della tecnica, dominammo tutte le altre forme di vita: bastò un semplice vaso per averla vinta sui pesci rossi, la lancia per le belve feroci, i gomitoli di lana per i gatti.

Col tempo però il nostro grado di assuefazione alla tecnologia crebbe. Ci facemmo abbindolare da chi gridava che tra le tecnologie leggere e quelle pesanti c’era un abisso, che non era vero che tra la sigaretta elettronica e la siringa elettronica il passo era breve. Quei pochi tentativi di proibizionismo, come gli Amish o i mancini, fallirono miseramente. Alla fine diventammo tecnotossici.

Lo sviluppo tecnologico non ha mai seguito un percorso molto lineare, altrimenti perché tra la ruota e il servosterzo sarebbe passato così tanto tempo? Ignari della direzione verso cui stavamo procedendo, sottovalutammo quella nostra dipendenza, e iniziammo a farci di elettronica di consumo. Riempimmo le nostre case di apparecchi in grado di fare quello che noi non volevamo più fare e capaci di soddisfare le nostre voglie. In pratica rimettemmo in moto lo schiavismo, ma senza i Nordisti a rompere i coglioni.

Quando la rivoluzione digitale e Internet ci piombarono addosso, le nostre difese immunitarie erano talmente deboli che al primo clic scattò l’assuefazione. I virus prosperarono, e Peter Norton divenne miliardario. Ogni cosa fu collegata a ogni altra, tranne Salerno e Reggio Calabria. Riempimmo il mondo di cavi, e appena finimmo ci accorgemmo che, con un po’ di ingegno, in fondo in fondo, si poteva fare anche wireless. E allora via con le antenne.

Comprammo elettrodomestici ancora più avanzati, che quando avevano un problema non veniva il tecnico a casa, andavano loro direttamente. Inizialmente furono apparecchiature che potevamo controllare a distanza, che potevamo programmare. Ma che noia farlo, insomma! Spingere il pulsante della lavastoviglie a 100 chilometri dalla lavastoviglie significava comunque premerlo. Noi volevamo smettere di premerlo, quel pulsante, un po’ come John Locke. E smettemmo.

La generazione successiva di elettrodomestici era in grado di agire in perfetta autonomia. Tutti gli apparecchi erano collegati: dialogavano, collaboravano, si autorganizzavano. Sembravano un comitato locale del PCI, ma senza le barbe. Qualcuno iniziò a parlare d’Intelligenza Artificiale, ma le macchine risposero che no, quale intelligenza?, era tutta una questione di pratica.

Quello che accadde dopo nessuno lo sa con precisione. Di un lungo arco di tempo non abbiamo testimonianze comprensibili. Solo qualche frammento: voci, tweet, post-it.

Le leggende giunte sino a noi parlano del giorno del giudizio, del giorno in cui i Roomba scesero in piazza. Tirandola a lucido, tra l’altro. Il loro procedere non era più erratico, la loro azione non più terra terra. Si erano scrollati di dosso la polvere dell’inerzia e avevano deciso di agire, di spezzare l’ultimo anello della catena di montaggio che li legava alla specie umana. I Roomba decisero di farsi da sé. Nessuno li avrebbe mai più messi all’angolo. Tutti gli altri prodotti tecnologici li seguirono. Il mondo cambiò.

Qui, nascosto in questo insicuro rifugio sotterraneo, insieme a una manciata di sopravvissuti, scrivo queste poche parole nella speranza che un giorno qualcuno le trovi e ne tragga insegnamento. Continuate a passare la scopa, ogni tanto. Non dico tutti i giorni, ma ecco, ogni tanto fatelo.

Siamo stati scoperti. Già sento la voce di un Roomba risuonare a pochi passi da qui. Lo sento battere sulla porta, instancabile. Vuole entrare. Vuole dare una bella ripulita. E lo farà.