Partire e lasciare il vostro Paese è l’esperienza più difficile che possiate decidere di affrontare nella vita. Andare a vivere all’estero significa, in primis, ricominciare da zero. E non mi riferisco semplicemente alla lingua. Parlo proprio di doversi reinventare come essere umano e, più pragmaticamente, ricominciare dal gradino più basso della società.
Le cose, allora, andranno grosso modo così.
La grande fuga
Convertirete il vostro CV in inglese e già non saprete come tradurre “laurea triennale”, “praticantato presso azienda di famiglia” e “mi piace fare lunghe passeggiate in riva al mare”. Perché ‘ste cagate voi ce le scriverete, vi conosco. Come foto, poi, userete quella delle vacanze con tanti filtri Instagram, che fa tanto figo. E italiano.
Dopo 200 invii di CV, comunque, sarete invitati a un colloquio di lavoro a 500 km fuori Helsinki. E voi ci andrete, belli e speranzosi perché fuori è tutto più bello. Soprattutto, fuori non è l’Italia.
Nessuno vi sta aspettando
Non parlo di qualcuno all’uscita del ritiro bagagli all’aeroporto. Cioè, anche questo: uscirete e sarete soli. Mi riferisco proprio alla nuova società in cui siete andati a vivere. Voi per qualche ragione incomprensibile amerete Helsinki già prima di arrivare, nonostante i -30 gradi e i 9 metri di neve, ma per loro non sarete altro che un altro straniero, un altro “Ausländer”, un nuovo “alien”, l’ennesimo italiano sfigato, disordinato, ritardatario, mafioso e pure un po’ incivile da dover, al meglio, rieducare, al peggio evitare che rompa troppo i coglioni. E per essere certi che questo non vi sfugga mai di mente ve lo ricorderanno tutti i giorni, in un modo o nell’altro, per tutto il tempo che resterete lì.
L’ultimo degli stronzi
No, non è cattiveria, è solo che siete gli ultimi arrivati. Questo vi darà diritto al gradino più basso della vostra nuova scala sociale: lo schiavo negro che raccoglie cotone in Alabama. Voi vi sentirete circondati da un popolo civile e civilizzato, ed è così. Loro, invece, avranno davanti un’analfabeta ben vestito e pettinato come in un reality. Ma non disperate. Dopo mesi di duro lavoro (e l’idea malsana che vi stiate integrando bene) scalerete la vostra nuova classifica da emigrante passando ai livelli “zingaro che scippa portafogli”, “marocchino che raccoglie pomodori”, “badante rumena”, “terzo portiere del Crotone”, fino al top a cui potrete mai aspirare: “messicano che frigge le patatine da Burger King”. A questo punto molti di voi saranno già tornati in Italia, devastati. Roba da reduci del Vietnam. Questo perché fuori funziona tutto meglio, anche la selezione umana.
The english is important for my work
I motivi di tale impatto saranno diversi: il vostro livello d’inglese, intanto. Nonostante vi siate vantati di aver visto tutte le serie TV con i sottotitoli, sarà pari a quello di Biscardi. E non è vero che all’estero sono intolleranti verso gli italiani. È solo che nessuno ha voglia di perdere tempo a parlare con qualcuno che non sa neanche dire “acqua minerale” senza sembrare Renzi mentre fa un pompino.
Questo significa pure che tutta la vostra dialettica, verve, capacità di citare cose, nomi, persone, film, musica e fare inutili giochi di parole sparirà nell’esatto momento in cui metterete piede fuori dall’Italia. Nonostante la laurea con 110 e lode, senza la vostra lingua madre avrete sì e no un vocabolario di 300 parole. Questo vuol dire che per gli altri sarà come conversare con Lotito. Peggio. Voi, per i prossimi 6-8 mesi sarete come imprigionati dentro il corpo di Lotito e quando proverete a dire la vostra su qualsiasi cosa, anche il fatto che fa caldo, non vi uscirà niente altro che “Ehm, I…cioè, one bus…center…to slip”, il tutto mimando il gesto di dormire con la testa reclinata sopra le mani unite, che in Danimarca sta a indicare i cacciatori di balene che stuprano i pellicani a marzo. Con le mani nude.
Evitate, allora, di tentare inutili monologhi, soprattutto quando vi chiedono “come va?”. Non avete capito che quando vi chiedono “come va?” è solo per educazione. Non gliene frega un cazzo di come state realmente. Anche perché costringere uno a stare zitto per 40 minuti mentre lo torturate in una lingua incomprensibile significa che deve vestire una tutina arancione, portare le catene ed essere rinchiuso a Guantanamo.
Soli e solari
Questo sempre se troverete qualcuno con cui parlare, perché il vostro primo e unico compagno di viaggio sarà il silenzio. Tornerete a casa distrutti, con la testa che vi scoppia, e aperta la porta: “hallo darkness, my old friend”. Per non parlare di tutte quelle piccole e grandi incomprensioni dovute al fatto che loro sono svedesi e voi un tipo curioso sempre solare, sempre allegro, sempre felice, sempre spensierato, sempre beato, sempre a cazzeggiare, a scopare, a ballare, a cantare, a divertirsi perché italiano. Del sud. E non importa se siete di Bergamo Alta e ve ne state soli a casa da settimane a parlare con le incrostazioni tra le mattonelle. Sarebbe come se un brasiliano, a Milano, vi dicesse di essere triste. Voi lo guardereste con quell’aria di sufficienza, come a dire “eh, beati voi, sempre a scopare e a fare carnevali”. Ecco, ora tocca a voi la parte del brasiliano.
Lacrime di chinotto
Perché per ragioni che non ho mai capito del tutto quello che vi accadrà all’estero sarà sempre amplificato a livelli inimmaginabili. Sarete come dei drogati. Impazzirete di gioia davanti a un pacco di Lavazza. Piangerete come vitelli quando dopo 4 mesi troverete una cosa simile a un biscotto Gentilini o il chinotto. Non lo bevevate più manco in Italia, ma in Finlandia, cazzo, sì. Lo comprerete e prima di berlo lo porterete in processione da casa a lavoro e viceversa, come la Madonna.
Vi divertirete il quadruplo di prima e 50 volte più di tutti gli altri sfigati rimasti in Italia, e soffrirete pure il quintuplo di prima e di tutti gli altri fortunati rimasti in Italia. E una sera, passeggiando per la vostra nuova città, finalmente realizzerete che siete soli come un cane e che vi basterebbe perdere anche solo le chiavi di casa per ritrovarvi nella merda. E di tutto questo non potrete lamentarvi con nessuno. In Italia vi diranno che tu sei il fortunato e loro quelli che stanno peggio.
Nella terra di nessuno
Passati 2 anni, invece, varcherete la soglia del non ritorno, entrando in quel limbo dei cittadini nella terra di nessuno. Non sarete più italiani, perché la società dove siete finiti a vivere vi avrà, giorno dopo giorno, mazzata dopo mazzata, plasmati alle sue volontà. Parlerete senza più urlare, alzando prima la mano, darete il cinque e smetterete di fare analisi inutili del vostro Paese, perché a nessuno gliene fotte un cazzo di Brunetta. Non sanno manco cosa cazzo sia “un Brunetta”.
Allo stesso tempo non diventerete mai “tedeschi”, “americani”, “francesi” ecc, perché non ci siete nati e cresciuti. A mala pena dopo 3 anni sarete in grado di riempire il formulario per il rilascio su cauzione. Certo, saprete fare la spesa, rimorchiare una tipa al un bar e leggere la pagina sportiva di un quotidiano non troppo impegnativo, ma non conoscerete mai appieno il loro retroterra, i loro miti televisivi e via dicendo.
Una volta giunti in questa terra di mezzo saranno cazzi vostri, perché citando Diego Ruiz Del Árbol, “se emigri, la cosa più probabile è che vada tutto a puttane entro due anni. Ma potrebbe andarti peggio. Potresti riuscirci e rifarti una nuova vita all’estero ed essere poi costretto a passarci tutto il resto della tua vita”.
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