La legge del taglione la conoscete tutti. Occhio per occhio. C’è il solito criminale che commette un reato. Un uomo di buona volontà lo cattura, arriva un giudice, constata il misfatto, lo misura con criteri misteriosi ma efficientissimi e lo traduce in una pena di entità pari al male commesso per appagare la sete di vendetta della società. Esempio di facile comprensione: la pena di morte. Hai ucciso? Ti uccido. In altri casi l’applicazione della regola è più difficile ma non impossibile. Hai fregato un turista tedesco vendendogli la fontana di Trevi? Ti vendo i Bond argentini.
Ma qualcuno ha detto che lo stato non è un barbaro giustiziere, ma un’entità preposta alla sicurezza dei cittadini. Quel qualcuno ha parlato di prevenzione come vera finalità della pena. Hai ucciso? Ti uccido, ma non perché ti odio. Ti uccido perché voglio ottenere due scopi: toglierti di mezzo, così non sarai più un pericolo per nessuno, e lanciare un messaggio ad altri potenziali assassini, mettendoli di fronte alla realtà di uno stato che punisce l’omicidio con la morte. Certo, più d’uno ha avanzato il sospetto che tale deterrente non sia del tutto efficace in diversi casi, per esempio contro quelli che scaricano l’intero caricatore di un fucile contro i compagni di classe per poi suicidarsi, ma non è questa la sede per un dibattito sulla punibilità delle reincarnazioni.
Poi sono arrivate alcune teste balzane che si sono spinte oltre, inventando un principio che ha trovato spazio nel nostro ordinamento. Nell’articolo 27 della Costituzione italiana troviamo questa rivoluzionaria stranezza: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. La prevenzione non è scomparsa dall’orizzonte, ma qui non si tratta di buttare chiavi o mettere la polvere sotto il tappeto. Per essere equi, hanno detto certi spiriti liberali, bisogna dare la possibilità a tutti di riabilitarsi. Vale anche all’esterno del perimetro carcerario. Pensi che Ligabue sia un genio? Io non rinuncio alla possibilità di un tuo riscatto e continuo a credere in te, persino in questo caso estremo.
L’articolo 27 è ancora lì, nero su bianco, ma nel passaggio dalla teoria alla pratica qualcosa è andato storto. Ci sono stati incidenti di percorso. Piccoli fraintendimenti, forse. Un pizzico di incuria. Un po’ di benaltrismo (con tutti i problemi che ci sono, dobbiamo occuparci dei criminali carcerati?). L’unica certezza è la situazione odierna degli istituti penitenziari italiani: sovraffollamento, corpi ammassati in pochi metri quadrati, persone trattate come rifiuti, disperazione, un numero inquietante di suicidi, l’allarme lanciato a più riprese da Amnesty International.
Ora immaginate lo sdegno dei nostri concittadini di fronte a ciò. Non state immaginando niente? Ci avete preso. A parte qualche eccezione messa a tacere, ridicolizzata e confinata in dotti saggi che non legge quasi nessuno, la volontà popolare ha sancito su Facebook, nel commenti agli articoli di giornale, ma anche nelle sale d’attesa e tra le mura domestiche, il ripristino di una legge del taglione potenziata, perché a molti la vita in una cella con altre 5 persone e tre posti letto sembra una cosa da niente, un periodo di pasti gratis a spese della collettività. E allora bisogna accanirsi. Sul Fatto Quotidiano c’è scritto che sei indagato per aver rubato? Il processo non è necessario. La tua colpevolezza è stata decretata durante una partita a tressette dopo tre birre. Ti consegno a compagni di cella propensi alla sodomizzazione, ti torturo, ti calpesto, ti uccido, ti riduco in poltiglia, mi dimentico di te. La fantasia non manca agli inventori di supplizi del web, tra cui troviamo nostalgici delle vergini di ferro, cinefili che propongono l’uso degli apriocchi di “Arancia meccanica”, vegetariani che non disdegnano gli squartamenti umani, cattolici praticanti che con coerenza invocano crocifissioni. Cuore per occhio. E così qualsiasi discussione sulle condizioni carcerarie è rinviata, come in un interminabile processo qualsiasi.
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