Pippo Civati. Già il nome.

Le prime tracce della sua presenza risalgono al preistorico. Il Pippo Neanderthal Civati era vegano. Quando gli altri della tribù andavano a caccia di Mammut, lui dava una mano in cucina. Quando l’evoluzione giunse improvvisa e i Neanderthal si ritrovarono al bivio tra Sapiens e “c’ho un blog di successo”, lui scelse la seconda.

Costretto a fuggire per evitare di scegliere tra “migriamo verso il mare o la montagna?”, scappò in America. Fece subito carriera come politico democratico, ma quando giunse la guerra d’Indipendenza, tra nord e sud, Pippo W. Civans’ scelse il Nebraska. “Mi piacciono gli Stati in bianco e nero”, disse. Purtroppo non aveva considerato lo spirito americano. Soprattutto, non aveva considerato lo spirito americano armato di AK-47 semiautomatico.

Dovette fuggire anche dall’America, ritrovandosi in Argentina. Ben presto, il giovane Pippo “Che” Vati si rifece una vita come medico. Divenne podologo, fece un viaggio intorno all’Argentina e lì incontro un giovane Fidel Castro. Affascinato dall’uomo barbuto, restarono a parlare tutta notte, ma quando gli venne chiesto di partecipare alla rivoluzione cubana, lui capì alla scissione.

Fidel decise, allora, di andare incontro al giovane rivoluzionario e, soprattutto, di aiutarlo. Lo fece denudare e vergare per 3 giorni e 3 notti da 30 giovani cubani. La lezione lo folgorò, come San Paolo sulla via del ritorno, se non fosse che al primo svincolo inchiodò la macchina, indeciso su dove andare.

Dato che dopo Fidel neanche Dio era riuscito a farlo diventare un uomo, decise di aprire un blog, col quale ottenne un discreto successo di pubblico.

Rinvigorito da ciò, tornò in Europa, dove si mise in proprio, ma sempre all’interno di un organigramma più grande. Pur non sapendo cosa cazzo volesse dire, andò a vivere a Berlino. Era il 1989, ma anziché farsi di droghe psichedeliche, mettere su un gruppo techno-punk e imparare il tedesco, continuò a scrivere post da democristiano, convinto di essere Zapata. Quando giunse la notizia che il muro stava per crollare, il nuovo Pippo Tchivati corse ad abbatterlo. Ma per strada decise di fermarsi a farsi prima un Kebab, perché abbattere il muro va bene, ma se poi finisce che mi chiedono di fare altro? Non stupisce, allora, che venne insultato da tutti gli altri presenti per 3 gironi e 3 notti al grido di Spaghetti Fresser: colui che ti chiede in prestito un paio di palle perché le sue le ha perse al ritiro bagagli.

Sfiancato da tutto questo inutile girovagare e senza neanche aver imparato a dire Bruttosozialprodukt (il famoso PIL), capì che nel PD avrebbe avuto vita facile: un uomo senza palle, in mezzo ad un branco di coglioni.

Sarebbe stato un Re.

Come prima cosa s’iscrisse alla primarie contro Renzi. Sapeva di perdere e come tutti quelli che sanno di perdere, provò a vincere. No, in verità non provò neanche a vincere, al punto che De Coubertin, sotto falso nome, scrisse un editoriale su Repubblica dal titolo: “L’importante non è vincere, ma porca la madonna, Pippo Civati, ci hai rotto il cazzo”.

Perse le primarie, ma promise battaglia. Dal suo blog. Scrivendo post. Che nessuno avrebbe mai letto, tranne i giovani che son talmente disperati da attaccarsi a tutto. Pure a Pippo Civati.

Civati inanellò un’altra serie di clamorose sconfitte, politiche e morali, da dubitare se non fosse lui il vero prescelto per la Segreteria del PD. Quando Renzi divenne Presidente del Consiglio, mostrò la sua faccia più turbata: un calippo alla fragola, lasciato sotto il sole dell’Idroscalo di Torvajanica, a Marzo.

Un uomo distrutto, anche perché dei suoi già pochi fedelissimi, una si era appena fatta nominare Ministro proprio da Renzi. A quel punto, Pippo, decise la cosa migliore: rivolgersi ancora al suo blog, con finalmente la domanda giusta: qualcuno ha una stampante 3D per farsi un paio di palle?