In un’esistenza umana fatta quasi tutta di routine, automatismi e tran tran quotidiano ci sono esperienze straordinarie che prima o poi bisogna fare e che non hanno a che vedere con Il volo.
La vita infatti non vale la pena di essere vissuta se non si è mai mangiato del peyote nel deserto messicano di Chihuahua insieme a un nativo americano il cui spirito guida è Richard Nixon, per esempio. Oppure se non si è mai fatto lo scrutatore.
Basta una delle due. Tanto gli effetti sono gli stessi.
Chi vive in Messico può fare addirittura entrambe le cose contemporaneamente, mentre cerca di raggiungere clandestinamente gli Stati Uniti.
Se invece siete italiani e avete la fortuna di essere scelti come servitori della patria nel momento più alto e più confuso dell’ordinamente democratico, ovvero la chiamata alle urne, allora potete risparmiarvi un lungo viaggio (quello fisico, nel senso) e provare le stesse emozioni chiusi in una sezione elettorale per un numero di ore variabile tra 18 e infinito, dove oltretutto sarete pagati. Ma sfortunatamente non a ore.
Come anche nel caso d’ingestione del peyote, l’esperienza allucinatoria dello scrutatore si compone di tre fasi, o passi, che costituiscono il distacco dalla realtà materiale e quindi il cammino verso la rivelazione mistica.
1° passo: firmamento
Una volta entrati nel seggio per assolvere al vostro dovere civile, il mondo che vi circonda inizierà immediatamente a perdere consistenza grazie alle firme. Dovete firmare tutto. Schede elettorali, liste dei votanti, registri, verbali, buste, sigilli su porte, finestre e urna. Se un oggetto è all’interno del seggio, allora va firmato, indipendentemente dalla sua volontà o dalla sua capacità di trattenere l’inchiostro di una penna. L’imperativo è: nel dubbio, firma. A giochi fatti avrete lasciato diverse centinaia di firme e soffrirete di tunnel carpale. Se vi chiamate Tizio Caioni firmerete così le prime cento volte. Poi diverrete Tzio Caoni, Tio Coni, Ticoni, Tic, e dopo la cinquecentesima firma lascerete dove richiesto una semplice tilde tremolante. Dicono che sopra le 700 firme scatti uno strano meccanismo proustiano e s’inizi a firmare con la firma dei vostri genitori, come alle superiori. Per un riflesso involontario nei 3-5 giorni successivi al voto firmerete tutto quello che vi capiterà sotto mano. Non a caso molti spacciatori di Enel Energia si appostano fuori dai seggi in attesa della fine degli scrutini.
2° passo: demokraken
Il secondo passo nell’allucinazione ve lo garantiranno i votanti, ovvero le persone, il demo di democrazia. Vi aspettate l’italiano medio, il cittadino qualunque. E per i primi 50 elettori venite pure accontentati. Poi, senza motivo apparente, inizia una specie di freak show. Tutti vi appaiono in qualche modo deformi, sbagliati, irregolari, sia fisicamente che esteticamente. Si presenta al seggio gente che sembra montata male, oppure vestita come nessuno mai si è vestito negli ultimi cento anni, o come nessuno si vestirà mai nei prossimi cento. Una somma di problemi motori, percettivi, intellettivi, mnemonici e di abbigliamento che fuori di lì, oltre le mura della sezione elettorale, non esistono, altrimenti le strade sembrerebbero quelle di The walking dead, girato da Wes Anderson. Dev’essere il seggio a generare questi mostri, vi dite inizialmente. Poi cominciate a fare caso a un dettaglio: la maggior parte di quelle persone non l’avete mai vista. Tolti un paio di amici, uno o due parenti e qualche conoscente vi sfilano di fronte solo facce sconosciute. In città non ci si fa caso, ma in un piccolo paese di provincia, dove tutti si conoscono, la cosa balza all’occhio. La conclusione non può che essere una: i votanti sono creature che escono alla luce del sole unicamente per votare; appena assolto il loro compito tornano di corsa da dove sono venuti (poderi di campagna solitamente) e per il resto del tempo se ne stanno reclusi nella loro tana in attesa della successiva tornata elettorale. Ultimamente, c’è da dire, escono parecchio.
3° passo: cateratta
L’ultimo passo onirico, quello che vi spalanca completamente le porte e le finestre della percezione, dando vita anche a una potente corrente di percezione, si compie affrontando – a seggio ormai chiuso – il meccanismo di scrutinio. Figlie delle enigmatiche leggi elettorali di nuova concezione e nipoti di una leggendaria serie di norme mostruose che nei decenni della repubblica sono venute accumulandosi, le procedure di scrutinio e conteggio sono giusto un pelo più difficili della dimostrazione del teorema di Fermat e esibiscono platealmente i limiti matematici dettati da quello di Goedel. La dissoluzione di ogni ordine logico e la vaporizzazione di qualsiasi più elementare norma dettata dal buon senso vi spingono definitivamente oltre la soglia della realtà elettorale come l’avete sempre pensata da semplici votanti che vedono solo la punta della matita copiativa. Superato tale limite, divenuti parte dell’assurdo meccanismo autoreplicante che è il fulcro di ogni demoqualcosa, vi fondete col resto della scintillante inutile macchina e partecipate del suo stesso tossico farsi e rifarsi, in un eterno ritorno alle urne.
In quell’istante, col cofano del sistema alzato e voi che ci guardate dentro, mentre ammirate il suo nucleo nudo, eposto, il cuore teoretico e pulsante conquistato col sangue dei martiri civili, dei patrioti, dei liberi pensatori e di gente che passava lì per caso, l’illuminazione finale si compie.
E ogni cosa appare ovvia, chiara, necessaria.
Nixon, alla fine, non era nemmeno tanto male.