La struttura di un film porno è composta di tre scene: lei che succhia un enorme cazzo, un enorme cazzo che la penetra, l’enorme cazzo che gli sborra in faccia. Secondo alcuni studiosi esistono pure una quarta e addirittura una quinta scena dove lui le finisce di aggiustare il cavo dell’antenna e partono pure i titoli di coda, ma nessuno le ha mai viste. Sono solo teoriche.
I titoli dei porno, invece, seguono principalmente due correnti: quelli che scimmiottano blockbuster famosi (“Nirvanal”, “Star Fuck”, “Sborragheddon” ecc.) e quelli che ti spoilerano direttamente il film (“Enormi cazzi che scopano Milf”, “Tettona rumena succhia i cazzi dei cassintegrati Apple”, “La moglie di mio padre lo prende nel culo dai vecchi in fila alle poste” ecc.). Tutti quanti, però, seguono le regole del Dogma danese e/o del neo-realismo: camera a spalla o fissa, niente colonna sonora, luce naturale, niente effetti speciali. A volte, poi, gli attori sono direttamente presi dalla strada.
La struttura delle scene:
Il pompino. È ripreso dal punto di vista del maschio, generalmente in piedi, mentre lei, in ginocchio, gli succhia il cazzo lanciando sguardi verso la camera, ovvero a noi pubblico. Questo dovrebbe permetterci d’immedesimarci nel cazzo di un altro e fantasticare che quella bocca stia succhiando il nostro. Il nostro cervello, infatti, non riceve stimoli tattici dal nostro cazzo ma visivi dal cazzo del pornoattore, li mette insieme e ne ricrea una situazione artificialmente guidata dal porno stesso. In pratica, però, ci tiriamo gran segoni davanti al cazzo duro di uno sconosciuto pornoattore. Stiamo tutti lì a commentare “guarda lei come gli succhia il CAZZO”, “guarda come lo prende tutto in bocca (il CAZZO)”, “guarda come se lo fa sbattere in faccia (il CAZZO)” e via così. Ne consegue che un eterosessuale 30enne, grazie ai porno, avrà già visto più cazzi duri di Aldo Busi.
La penetrazione. Solitamente segue il pompino e precede la sborrata finale in faccia a lei, ma raramente aggiunge qualche cosa al film. La camera, a questo punto, diventa fissa e ricorda un po’ le scene del teatro, i primi sceneggiati RAI, la tragedia greca dove il cazzo del porno attore è il deus ex machina. La vagina rasata e aperta come in un corso di medicina legale, invece, è il metapensiero dietro il film. L’azione è piuttosto semplice e diretta come è giusto nel neo-realismo. Lui prende il suo cazzo, glielo sbatte 2-3 volte sulle grandi labbra e poi glielo infila dentro con lo stesso erotismo con cui io metto le monete nel distributore di snack al lavoro e seleziono il codice 157 per le M&M’s. Segue una scopata alienante che ricorda i vecchi film di Pasolini, dove lui cerca solamente di portare a casa la giornata e lei fa finta di godere mentre un altro prova a infilargli un cazzo mezzo moscio in bocca. Questa è l’unica scena dove si possono vedere pure i volti dei protagonisti.
Finale. Come nella prima scena, ritroviamo lei in ginocchio o sul divano che guarda in alto verso la camera, mentre l’acefalo pornoattore dotato di enorme cazzo si masturba per finirle in faccia. La struttura circolare cozza un po’ con il Dogma danese ma permette una fluidità della storia. Anche qua, ci si fa delle gran seghe guardando il cazzo di qualcuno sborrare in faccia ad una tizia con la bocca aperta e il trucco pesante. Il più delle volte veniamo pure insieme a quel cazzo ma raramente ce ne vantiamo poi al bar con gli amici.
Segue la fase di latenza post coito. Una volta venuti tendiamo subito a spegnere il computer, a scostarlo fuori dal nostro Io, come se fosse lui il responsabile del nostro masturbarci a tarda notte mentre nostra moglie sta già dormendo a casa di qualcun altro. Qualche volta ci promettiamo pure che sia l’ultima volta che guardiamo un porno, ma dopo 40 minuti, un’ora al massimo, tutto ritorna alla normalità.