Quando ci s’imbatte nella fame nel mondo, si fa una faccia triste, poi si passa ad altro. I più sensibili corrono a fare volontariato. Di solito però si passa ad altro. Siamo un po’ mostri, è vero, ma funzioniamo così: i problemi lontani – nello spazio e nel tempo – non ci coinvolgono più di tanto. Magari militiamo nel comitato di quartiere contro le pm10, e abbiamo pure tenuto lo striscione quella volta della manifestazione davanti al municipio, però, ecco, ci succede sotto casa, ogni santo giorno: come facciamo a non preoccuparcene? La fame nel mondo, ma anche la fine del petrolio, la sovrappopolazione e mille altre questioni tanto importanti quanto lontane sono facili da dimenticare, soprattutto se avete il solito mutuo da pagare. Ancor di più se nemmeno ve l’hanno concesso, il mutuo.

Perché se poi uno ci pensa un attimo di più, alla fame nel mondo, ci sta che inizi a chiedersi: com’è che lì non c’è da mangiare e qui, nei supermercati, gli scaffali non sono mai vuoti? Non hanno da mangiare o non hanno i soldi per comprarlo? Se non hanno da mangiare basta portarglielo, no? Che sono domande che, è vero, prendono la complessità del mondo e la frullano finemente insieme a noci e mandorle fino a ottenere una piacevole granella da mettere sul gelato, ma hanno comunque una loro dignità. Perché, va bene la complessità, ma se sullo stesso pianeta ci sono contemporaneamente uno che deve prendere il diger selz a fine pasto e un altro che bramerebbe un diger selz come pasto, qualcosa che non funziona dev’esserci, da qualche parte.

Perciò, per darsi un metodo, si potrebbe provare a ragionare sulla questione immaginando che il mondo sia un ristorante. Quindi, se è un problema di risorse alimentari, non si capisce perché alcuni tavoli abbiano sempre a disposizione un ricco menu, mentre altri sì e no i grissini. E poi, se non c’è da mangiare, chiudi l’ingresso, cosa mi fai entrare a fare? Mi avverti, vado altrove (che poi sarebbe un altro pianeta, ma lasciamo stare). Se da mangiare c’è, allora forse è un problema di trasporto. I tavoli che sono vicini alla cucina mangiano senza problemi. Quelli via via più lontani, capita che qualche ordinazione non arrivi. Da quelli in fondo alla sala il cameriere non arriva mai. Ora, io non so chi gestisca la sala, però è vergognoso che le cose funzionino così: fossi il padrone, avrei di certo qualcuno da licenziare.

Può darsi anche che sia un problema di soldi, di convenienza. C’è un gruppo di tavoli, laggiù in fondo, quelli lì non pagano mai, non li servono nemmeno più, se ne stanno seduti, senza tovaglia, a osservare lontano quelli che mangiano. Gli hanno fatto una saletta apposta, a ‘sti morti di fame, così non danno fastidio; e comunque, anche volendo, non ce la fanno ad arrivare nella zona dove si mangia: sono troppo deboli. Poi qua e là, in mezzo ai clienti serviti e riveriti, che mangiano e pagano, ci sono i tavoli degli spiantati, che sono sì morti di fame pure loro, ma hanno ancora un po’ di forze, sennò sarebbero già finiti in fondo alla sala. Si riconoscono dai vestiti, dalle facce, dai modi: loro di solito scroccano, raccolgono da terra, fregano dai tavoli vicini. Se li beccano li buttano fuori, tanto poi rientrano, oppure li sbattono laggiù, con i clienti-non clienti, perché a star dietro a loro capace che uno fallisce.

Ragionando in questi termini, quello che sembra emergere con chiarezza sul problema della fame nel mondo è che la Terra, come ristorante, fa proprio schifo.