Il femminicidio, branca specifica del più generico reato di specificicidio, è l’extrema ratio di una società che non riesce più ad affrancarsi dall’equivalente legislativo dei peluche o dei biscotti della fortuna cinesi.
Prima di inalberarvi sappiate che questa non è una mia idea: me l’ha sussurrata, in confidenza, Concita De Gregorio durante il coito. Non il nostro coito – e non lo dico per mere ragioni processuali – bensì un coito che in quel momento stavamo osservando dalla fermata di un autobus, e che avveniva, stanco e trito (go to: youporn, romenian blacksmith fucks teen in the bushes) nella cunetta della statale. Che poi, se osservate il video nei dettagli (e lo so perché l’ho postato io dall’account premium) è l’equivalente situazionista di un editoriale di D di Repubblica.
Comunque, dopo essersi passata sulle labbra del lucidalabbra al lardo di Colonnata, Concita mi fa: «Guarda quella zoccola».
«Riprovevole. Mutande di Hello Kitty. Puah.» rispondo.
«Lui è stato evidentemente provocato.»
«Sei nel giusto. Cioè, Elle di Yves Saint-Laurent su una dodicenne: come praticare il rimming a un gorilla.»
«Non trovi che gli stereotipi di genere ci stiano impedendo di chiamare le cose col loro nome?»
«Hai ragione, vecchia sadica con la faccia sciolta.»
«Una corretta analisi del femminismo non può che partire dal punto in cui la responsabilità individuale incontra una società ancora fortemente classista – in senso puramente tetragono – e sprigiona tutta la sua carica di promiscuità.»
«Continua», le dico, continuando a titillarmi il frenulo con la stessa passione con cui Baricco si tocca il mento nelle foto.
«Non sto qui a sindacare se lei fosse davvero consenziente o meno, ma crogiolarsi nel senso di protezione che ti può fornire il legislatore è un continuo erodere il diritto individuale sull’altare del compromesso sociale.»
«Hai un fazzoletto?»
«Voglio dire, ma se poi tu, per dire, mi scopassi qui e ora, eccitato da questo morboso spettacolo e dalle grida di questa ragazzina… a proposito, puoi alzare il volume dell’iPod che questa pare un maialino sgozzato? Carino il pezzo, che è?»
«I love it, Icona Pop. Comunque credo che lui stia per finire, guarda, gli cola la Moskovskaja dalle orecchie.»
«Grazie al cielo. Dicevo: vedi come il pene porporino di questo outcast della scena socioeconomica stantuffa nel deretano di questa squinzia? Io ci vedo un ritorno di fiamma della classe operaia per l’innocenza perduta. Forse è un buon segno, dal punto di vista elettorale.»
«È un’ottima idea. Vedo già i manifesti della campagna di Renzi: OTNEMATNUPPA OMIRP —> STUPRO.»
«Voglio dire, metti che io, Concita De Gregorio, decidessi di fare sesso qui con te, Woland, intellettuale di grande calibro della rete…»
«A questo proposito volevo ringraziarti per avermi prestato Le Notti Bianche di Dostoevskij, non sapevo avesse scritto anche cose corte.»
«…se decidessi di dismettere i panni della celebre giornalista e di diventare una languida, morbida, disinibita e umida ambasciatrice del sesso spinto in ambientazione bucolica, non sarebbe una storia noiosa? Due grandi intellettuali fanno sesso spinto in pubblico, tu mi prendi per i capelli e mi fai gridare al punto da far scappare quella mucca, poi io per un mio capriccio ti denuncio alla polizia, gli faccio vedere i capelli strappati e i lividi sul pube, tu ti fai anni di processi, ma dov’è la redenzione sociale? Dov’è il pathos da cui scaturisce il nuovo libro di Saviano? Dobbiamo vedere le cose da un’ottica… oh, hanno finito.»
«Chiamiamo l’ambulanza?»
«Basta un po’ di pomatina e va via. Comunque, riguardo a quello che dicevo prima…»
E quindi sono lì che ho appena tirato fuori il mio piccolo speleologo rubizzo dal buco del culo di Concita e le sto venendo sulle palpebre, ma ecco che veniamo interrotti da Loredana Lipperini che ci fa un pippone su qualcosa che è a metà tra l’animalismo fetish e una lectio di Severgnini sulla terminologia emotiva. Mi si smoscia. Decidiamo che la giornata è finita, Concita se ne torna in città e chiama la polizia, io vengo arrestato e portato a Regina Coeli.
A Regina Coeli vengo stuprato da cinque muratori romeni i quali, poveracci, non lo fanno per cattiveria, ma perché sono bellissimo. Quindi non li denuncio per una questione mia di umiltà e di vanità, mi tengo tutto dentro, somatizzo (cioè faccio la cacca, che tra l’altro vien giù una bellezza, come una palletta di piombo lasciata cadere in un pozzo) e torno in cella. All’alba vengo liberato da Padellaro che mi dice qualcosa tipo «Risolvo problemi, ma a tempo perso ne creo anche» e mi dà di gomito.
Vengo nominato editorialista di qualche giornale (non ricordo), scrivo il mio primo pezzo (questo) sull’essere self made man in un mondo maschilista, un grande elzeviro dal titolo «Cattiva maestra: quel giorno in cui Concita mi ha detto che non c’era alcun bisogno del lube.»
Padellaro legge il pezzo, dice «È splendido» e lo cestina, intimandomi di non farmi mai più rivedere.
Ed è così che ho finalmente capito in cosa consiste il giornalismo culturale italiano.