Il più grande interrogativo dell’umanità è: siamo soli nell’Universo? Fino a qualche decennio fa, invece, in cima al podio delle questioni irrisolte c’era: “Perché molta gente insiste a non usare deodoranti, nelle calde giornate estive?”. Nonostante quest’ultima domanda sia tuttora senza risposta, il quesito che riguarda l’esistenza della vita extraterrestre, preferibilmente intelligente e ben attrezzata con astronavi fichissime, ha assunto la massima priorità, principalmente per permettere a chi vende merchandising riguardante gli UFO di condurre una vita particolarmente agiata.
Nel tempo anche questo interrogativo ha assunto forme più raffinate, scatenando diverse riflessioni di carattere sociologico e filosofico. Nella versione per paranoici, tipica del clima d’incertezza globale che ci attanaglia, la domanda suona più o meno così: siamo soli, nell’Universo, o siamo male accompagnati? La paura per l’alieno, di colore diverso dal nostro, che arriva qui e non solo non si integra, ma delinque, e addirittura si macchia di efferati omicidi, ha fatto la fortuna di Hollywood, nonché della Lega.
Questo modo di pensare è davvero anacronistico: l’idea che una civiltà avanzata, superiore, venuta da chissà dove, arrivi qui per distruggere e conquistare, ammettiamolo, è assolutamente assurda. E gli ultimi ad averla pensata così sono stati gli Aztechi.
Una versione attualmente molto in voga di questo grande interrogativo è scaturita invece dalle riflessioni ambientaliste sullo sviluppo sostenibile, ed è la seguente: siamo soli nell’Universo? E allora cos’è tutto questo spreco di risorse? Ovvero, i confini del cosmo visibile (si dice che oltre ci siano solo banner pubblicitari) distano più di 13 miliardi di anni luce, e tutta la vita che contiene sta su un geoide composto di roccia, acqua e piante da appartamento che in aereo posso girare interamente in una ventina di ore? Se le cose stessero davvero così, gli ambientalisti dovrebbero iniziare immediatamente a manifestare contro la natura, anziché a favore.
Al di là degli aspetti meramente teorici della faccenda, sarebbe utile pianificare un eventuale primo contatto con una civiltà aliena, per non farci trovare impreparati, evitando cioè di scatenare una guerra cosmica perché il solito soldato impaurito e tremolante spara al presidente della Galassia, che ha solo la sfortuna di essere un vecchio insettoide alto tre metri il cui bastone assomiglia tanto a un cannone laser. A tal fine, ecco una serie di scenari possibili che potremmo trovarci a dover affrontare.
ZTL
Atterra un disco volante. Sopraggiungono militari, media, autorità, tutto il solito dispiegamento da pompa magna. Si apre un portello. Tutti restano zitti e fermi. Scendono due alieni, camminano spensierati, poi guardano la folla attorno, si bloccano, e uno dei due dice: “Ah, no, scusate. È che non abbiamo trovato parcheggio in centro”. Tornano sul disco volante e se ne volano via.
L’appuntamento
Non arriva alcun disco volante. Però il SETI, dopo anni passati a cercare segnali dallo spazio e sponsor, riceve una comunicazione aliena e la decifra: si tratta di coordinate spaziotemporali per un rendez-vous. Il problema è che l’incontro è stato 37mila anni fa, oppure è dopodomani, ma dalle parti di NGC2070, cioè a circa 179mila anni luce dalla Terra: significa che partendo al volo, andando alla massima velocità fisicamente possibile, e se non c’è traffico, arriveremo esattamente fra 179mila anni e qualche minuto. Insomma, daremo buca. E gli alieni non ci richiameranno. Per non parlare delle aliene.
Sondare il terreno (The human way of doin’ things)
Arriva un veicolo alieno, non il classico disco volante. Fa un sacco di manovre, sembra un po’ impacciato. Si aprono paracaduti, poi si staccano, vien giù una roba che sembra fatta con grandi palloni; tocca terra, rimbalza un po’ qua e là. Poi si ferma. Passa un po’, poi con un PSSSS! si sgonfia. Al centro rimane una specie di carrarmatino che inizia a spostarsi lento e confuso emettendo il classico rumore dell’Ape 50. Resta indifferente di fronte a qualsiasi tentativo di comunicare, fino a che, quando qualcuno tenta di dargli la mano, fa di tutto per infilarla in un vano porta rocce. L’unico segno distintivo sul veicolo è una specie di logo, che assomiglia in modo inquietante a quello di Google.
Big Bang Theory – Pilot
È normale che succeda. Anzi, è logico. Se invii della gente in missione nello spazio, soprattutto se lo fai per avviare i primi rapporti con una civiltà aliena, è ovvio che saranno scienziati. I migliori scienziati. Dei capoccioni, insomma. Dei nerd, in pratica. Perciò, quando si aprirà il portellone, vedremo scendere un mucchio di personaggi da telefilm, con camici bianchi e penne e matite infilate nel taschino, occhiali con montature rattoppate come se piovessero, sguardi sperduti, tutti fisici da lanciatori di coriandoli. Inizieranno a dialogare con i nostri ambasciatori, ma appena vedranno un esemplare femminile della specie umana ammutoliranno. Se al posto dei camici mettete delle belle t-shirt, questo è lo scenario migliore.
C’è qualcuno là fuori?
Scende un’astronave aliena. Di lunedì sera. In provincia d’Isernia. Penseranno che siamo soli, nell’Universo.