Fortunatamente, la confusione regna sovrana nella mia testa. Poi, riesco spesso a farla diventare una monarchia costituzionale e a cavarmela, però vengo di frequente attivato emotivamente da singoli aspetti o parole delle vicende. Della questione sulla telefonata Cancellieri – Ligresti, per esempio, son stato attivato soprattutto dai concetti “anoressia” e “uguaglianza”. Sempre fortunatamente, di anoressia non so molto e quindi non ne parlo, anche se va molto di moda considerare meglio qualcuno che non fa le cose “di professione” e postulare su tutto come se si fosse Beppe Grillo o il pubblico parlante della De Filippi.

Così, giusto per ricordarvelo.

Che, però, ci spingano verso un modello dominante spesso inarrivabile, mi pare un dato di fatto come quello che vivere in un paese in cui c’è bisogno del voto palese per far decadere senza sorprese un senatore condannato in via definitiva, fa abbastanza schifo. Oppure no, non si deve cercare di essere tutti fighi uguali, altrimenti – per dire – il 22 ottobre 2009 la famiglia di Stefano Cucchi avrebbe potuto telefonare a Alfano, allora Ministro della Giustizia.

Così, giusto per ricordarvelo.

Che poi, quelli belli belli, quelle con la caviglia sottile e lo stacchissimo di coscia e quelli alti e scultorei, che fanno da esempio ai nostri bisogni indotti sono la minoranza, e noi – per la fortuna del marketing – possiamo continuare a spendere e sbatterci, ma non arriveremo mai a essere come loro. Bisogna anche nascerci, in certe condizioni privilegiate, altrimenti – per dire – il 25 settembre del 2005 un ragazzo di nome Federico Aldrovandi avrebbe potuto telefonare al Ministro dei Pestaggi e chiedergli di intervenire.

Così, giusto per ricordarvelo.

Io conduco la mia personale resistenza contro i modelli dominanti di bellezza e agghindamento in maniera piuttosto subdola: per lavoro, passeggio parecchio per i centri storici e i corsi delle città e, quando mi capita che una batteria di ragazze mi punti e si dia di gomito (di solito, perché una o due su tre o quattro sono parecchio apparecchiate e io non le guardo e loro non se la possono prendere, o anche solo perché ho da poco passato i quaranta e quindi il brizzolato fa il suo dovere nell’immaginario femminile), io pianto gli occhi per quella frazione di secondo che significa Vorrei ma non posso, Darling negli occhi di quella un po’ più in carne, o bassa, o col naso più importante. Perché è più umana, più bella.

Come bello e umano sarebbe stato che, nel luglio 2001, gli occupanti della Diaz avessero avuto il numero di Claudio Scajola, allora Ministro degli Interni. O magari ce l’avevano e l’han chiamato, ma lui non ha riconosciuto la suoneria perché non sapeva di avere un cellulare, o che era il suo, perché magari qualcuno gliel’aveva pagato e lui non ci ha fatto caso. Può succedere in merito alle case, figurati con un cellulare.

Così, giusto per ricordarvelo.

E così, arriva la parte costituzionale della confusione che è sovrana nella monarchia costituzionale della mia testa, al che realizzo che il bisogno indotto è un bisogno e che – in quanto tale – è una tirannia, mentre il desiderio è uno spazio di libertà. E una tirannia è il governo di pochi su molti. E quelli perfetti, quelli belli belli, sono pochi. La maggioranza siamo noi, quelli un po’ storti, grassottelli, troppo alti o troppo bassi o troppo qualcos’altro. Noi siamo la varietà che serve all’evoluzione.

Poi, essere tutti fighi uguali, cosa avrebbe dovuto essere nel caso Cancellieri – Ligresti? Libertà del desiderio o tirannia del bisogno? Ah, già! Ho scritto “costituzionale” un sacco di volte, dovevo arrivarci prima: essere tutti fighi uguali davanti alla legge è un diritto.

Così, giusto per ricordarcelo.