Come avremo fatto, in così tanti, a sottovalutare la potenza di una parolaccia, dell’insulto per antonomasia, non si capisce proprio. Da italiano, lo ammetto, sono molto deluso. Forse non avevamo notato come la nostra splendida lingua contenga una miriade di parolacce, e di altrettante fantasiose combinazioni delle stesse? Non siamo mica terra di poeti per caso. Sono i nostri intercalari, i nostri incisi, le nostre chiose. Ce le abbiamo nel sangue. Sì, nel sangue, perché sono i nostri anticorpi, e ci difendono da un mondo pieno di minacce altrimenti insormontabili; sono il nostro antidoto al destino avverso, da quello banale della martellata sul pollice fino a quello ipercomplesso del grande sistema mondo che per vivere ci costringe a sopravvivere. Sono la nostra soluzione ai problemi, conclusione pirotecnica di ogni discussione senza via d’uscita, santo patrono di tutte le cause perse. Sono il nostro rifugio caldo e sicuro, anche se fuori piove zolfo e le acque s’innalzano. Da qui, non andremo da nessuna parte. Tantomeno a quel Paese.