(Culo di copertina gentilmente offerto dal padre del bambino di 7 anni, fotografato dalla moglie)
No, non so se mio figlio sia davvero gay, perché ha solo 7 anni e magari mi sbaglio, ma a lui piace mettersi le gonne. Non solo dentro casa: gli piace proprio uscire, andare al parco, ai giardinetti, a scuola, con la gonna.
Ora, chi, come me, è cresciuto nei magnifici anni ’80, ha imparato che la gonna la portano solo le donne, gli scozzesi e i froci. Ma non gli uomini.
È anche vero che gli anni ’80 sono stati spazzati via e sono arrivati prima i ’90 e poi i 2000, con il Politically Correct; i froci sono diventati gay, gli scozzesi sono diventati europei (anche se ora non più… o forse sì), e una buona parte delle donne si è emancipate fino a raggiungere lo status di Milf.
Di conseguenza, ho messo in discussione la mia visione anni ’80 della vita e ho iniziato ad accettare una visione più sofisticata e complessa, grazie alla quale ho capito che non esistono più solo due categorie di esseri umani. Esistono uomini, donne, gay, lesbiche, la frastagliata galassia gender, gli influencer, i vegani, i no-vax, i pastafariani, i terrapiattisti, gli ortodossi del tiki-taka e i povery.
Allo stesso tempo, tante altre categorie sono andate via via scomparendo o sono in procinto di farlo: i froci, gli yuppies, i paninari, i punk, le veline, il contropiede, i proletari e, a parte i panda giganti che erano in via di estinzione già negli anni ’80 (e continueranno ad esserlo fino al 2150), tutto il resto è mutato. Sì, insomma, oggi viviamo nell’imperativo dello scopatevi chi vi pare, amate chi vi pare, credete in quello che vi pare, giocate come vi pare e, ovviamente, vestitevi come vi pare.
Tutto vero fino al giorno in cui, mio figlio, si è presentato dicendomi: “Sono juventino!”.
Io: “Credevo fossi venuto da me per dirmi che eri gay e chiedermi di indossare una gonna?”
Lui: “Ah, giusto. Pà, voglio mettermi la gonna!”.
Da quel momento, improvvisamente, mi sono ritrovato a combattere una guerra con me stesso. Una sorta di lotta interiore tra il mio IO anni ’80, sopito per decenni e improvvisamente rivitalizzato da quella richiesta, e l’IO di oggi.
IO di oggi: “È solo una gonna!”
IO anni ’80: “È frocio!”
IO di oggi: “Magari è solo per divertimento!”
IO anni ’80: “Magari è solo perché è frocio!”
IO di oggi: “Oh piantala, anche se fosse?”
IO anni ’80: “Lo prenderanno per il culo a vita o peggio, lo sodomizzeranno”
IO di oggi: “Per una gonna?”
IO anni ’80: “Ma no, perché è juventino. Ma con la gonna sarà più facile e il giudice dica che se l’è cercata!”.
Questo pensiero mi ha attanagliato da subito, non il fatto che tifi Juventus, ma perché io sono l’adulto, e so che fuori c’è un mondo complesso, pieno di gente intollerante e pronta a scagliarsi contro qualsiasi minoranza. “Indossare quella gonna gli causerà più dolore che gioia”, questo è stato il mio chiodo fisso e, come tutti i padri, so che in qualche modo devo ciò che è meglio per mio figlio e, allo stesso tempo, proteggerlo.
Anche perché so già che romperanno i coglioni anche a me, come genitore.
Già me li vedo: “Che razza di padre lascia andare in giro il suo figlio maschio, a 7 anni, con una gonna? È un pervertito! È l’ideologia gender! È un comunista!” E, ok basta, mi sono già depresso abbastanza.
Avrei potuto vietargliela, ma poi avrei dovuto anche spiegargli il motivo del mio no. Non siamo più negli anni ’80 dove un “No e basta!” era appunto un “No e basta!”. Adesso sarebbe stato più un “No, non puoi mettere la gonna. Perché? Beh, perché la portano le bambine! Perché solo le bambine? Perché è sempre stato così! Come perché è sempre stato così? Perché le donne portano la gonna e gli uomini no. Gli scozzesi? Non sono europei. Sì ok, sono anche loro europei, ma non più per molto. No, la gonna non la puoi mettere. Perché? Perché poi verranno da me a rompermi i coglioni come padre, come modello educativo. Cos’è il modello educativo? Beh, la gonna è da froci!”.
No, non avrebbe funzionato, e poi volevo lasciargli la libertà di mettersi la gonna, ma dovevo comunque proteggerlo. Così, paradossalmente, ho iniziato a scimmiottare il mio IO anni ’80: “Puoi mettere la gonna, ma se ti dicono qualche cosa, tu gli dai un calcio in culo!”. Il fatto è che la violenza non è contemplata dal mio IO di oggi.
IO di oggi: “No, niente calci in culo!”
IO anni ’80: “Fai come ti pare!”
IO di oggi: “No. Se ti dicono qualche cosa per la gonna digli che uno può vestirsi come gli pare!”
IO anni ’80: “Frocio!”
IO di oggi: “Ma dai!”
IO anni ’80: “Frocio e pure juventino!”
Ha messo la gonna e siamo usciti. Fuori. Nel mondo. Io sorridevo, orgoglioso di vederlo girare in gonna, ma anche spaventato, sempre di vederlo girare in gonna.
Siamo arrivati al parco, ai giardinetti, e lui, incurante della mia tempesta emotiva, si è diretto verso le sue attività preferite: succhiare i cazzi dietro i cespugli. No, scusate, era il mio IO anni ’80: dicevo, è andato a giocare con gli altri bimbi.
Io guardavo lui e gli altri genitori, per capire le loro razioni. Loro guardavano lui. Sembrava la scena di “C’era una volta il West”. Loro guardavano mio figlio, io guardavo loro e poi mio figlio, loro me, io loro e poi mio figlio che, invece, si faceva i cazzi suoi, perché non si rende mai conto di un cazzo, ma questo è un altro discorso.
Alla fine siamo tornati a casa. Lui si è tolto la gonna per mettersi il pigiama. Io mi sono tolto i tacchi a spillo che, credetemi, camminarci tra i sassolini è una vera tortura, e alla fine ho dovuto prendere atto che non è accaduto nulla. Nessuno lo ha insultato, nessuno è venuto a dirmi cose terribili come “Suo figlio sta turbando i miei bambini!”. Cioè, lo hanno detto, ma solo perché voleva incastrare la testa di un bambino di 3 anni tra i raggi della sua bicicletta, ma a parte questo, NIENTE.
Quando gli ho chiesto come si era sentito, non mi ha risposto, perché i bambini a 7 anni non sono tenuti a rispondere a tutte le domande dei genitori. Ha detto solo “Bene!”, come sempre. Probabilmente perché non ha un IO anni ’80.