Il sole picchia sulle loro teste con una violenza celerina.
– Siamo arrivati?
– Sembra di sì.
– Fa’ vedere!
Scansa una mano screpolata dal suo petto, la sua, punta i gomiti tremanti come trampoli, solleva a fatica la testa rinsecchita da avvoltoio, si guarda intorno, vede l’altro che lo fissa divertito e si fa ricadere di botto sul fondo del gommone.
– Bastardo!
Il mare è un arido deserto in guerra. Il gommone ci scivola protettivo e dannato, come un’ambulanza che porta moribondi. Ondeggiando l’acqua s’infrange sulla gomma producendo un mormorìo da processione. Il cielo ha una luce azzurra televisiva e, ricolmo di promesse alla partenza, ora è solo limpido. Le nuvole se l’è portate via il vento, che dopo averli scortati fin là, li ha abbandonati salpando furtivo dal molo dell’orizzonte. C’è anche un monotono motore ad elica che a un certo punto tira due schioppetti, un sibilo fumante e si spegne dolcemente.
– Merda!
– Ah, adesso ti alzi in fretta eh.
– Se si ferma siamo morti!
– Se?
– Non saremmo dovuti partire.
– L’Italia è fallita, è affondata, cosa avresti voluto fare?
– Avremmo dovuto continuare a vendere altre spiagge, Cala Cemento ci aveva tenuto a galla per un po’.
– Ma se è proprio in quel punto che si è aperta la falla? E poi comunque erano finite.
– Magari ce n’erano ancora.
– Rassegnati: ci hanno liquidati e ora moriremo di sete.
– Non voglio morire!
– Bravo, allora piangi.
E mentre uno si scaglia assassino contro l’altro, sotto di loro un governo sta per prendere una decisione:
– Come ormai saprete tutti, è stata segnalata la presenza di un gommone a poche centinaia di metri sopra di noi. Si tratta di due italiani.
Annuncia il Primo Ministro dei morti in mare, mentre una medusa sperduta fa capolino da uno squarcio di quel cranio altrove ricoperto di anemoni verdi. Il Ministro delle Pari Opportunità dalla mascella ricoperta di denti di cane sembra deciso sulla via dell’accoglienza:
– Prendiamoli con noi, facciamoli integrare!
– Guarda che noi siamo morti eh. Io sarei per respingerli e non se ne parla più.
Gli risponde il Ministro della Memoria, le cui cavità oculari sono abitate da due piccoli saraghi luccicanti. Ma il cinodentato insiste:
– Ma la gente ne vuole ancora. Sono una risorsa!
– Basta! Dobbiamo rispettare gli accordi!
Si sfoga il Ministro della Giustizia battendo con forza sul tavolo marcio il polpo al posto della mano, mentre dalla sua testa algosa, nel colpo, ruzzola sul legno una conchiglietta a forma di cornetto, da cui dopo un momento di sospetto sbuca un paguro che zampetta via, seguito con lo sguardo incuriosito dal Primo Ministro, che poi sospira:
– Vedo che c’è molta confusione, non oso immaginare a che livello sia adesso l’apprensione dell’opinione pubblica.
Su quel fondale abitato, dove le morti si intrecciano di continuo, spesso noncuranti di ciò che avviene attorno a loro, morti di innamorati, morti di famiglie, di bambini, di amici, morti di lavoro e di felicità, come pure morti di paura e morti in fuga, morti criminali, morti di dolore e di indifferenza, in effetti c’è un qualche fermento per la sorte dei due italiani lassù. Ci sono sparute manifestazioni per chiederne l’accoglimento immediato, mentre le rubriche epistolari dei quotidiani riportano ragionamenti sul respingimento come diritto universale dell’uomo.
– Prendiamo dunque una decisione!
Chiosa il Primo Ministro, pettinandosi l’anemone con delle dita di aragosta.
Pochi centimetri sopra il livello del mare stanno ancora volando degli astenici cazzotti quando il gommone trascinato dalla marea si schianta su uno scoglio a pelo d’acqua, bucandosi. Sbilanciati, i due franano in mare, uno da una parte e uno dall’altra. Il frastuono del tuffo nelle orecchie e l’abbraccio dell’acqua tiepida riportano per un attimo la disperazione a livello embrionale ed è come abbandonarsi alla sorte. Poi si accorgono di toccare.
Risalendo sulla spiaggia incontrano decine di relitti di barchette fatte con ordinanze di respingimento ripiegate, semidissolte sul bagnasciuga dove sono arenate. Non lontano dagli scogli un barcone di cartone, la legge Bossi-Fini, giace con la sua imponenza a provvisorio trastullo per le onde e i loro schizzi. Il mare nel suo vorticare ha preso contratti e permessi di soggiorno e ne ha fatte delle pallette secche, morbide e candide. I decreti di espulsione spuntano dalla sabbia a ciuffetti come passati in un tritadocumenti. Un Centro di Permanenza Temporanea sorge a poche decine di metri dalla riva, ma è in completo abbandono e dall’oscurità che si intravede nelle sue finestre sembra che nemmeno le ombre lo abitino più.
– Siamo vivi.
– Siamo arrivati.
Da dietro una duna spelacchiata si vede arrivare un uomo, un pescatore del luogo forse. Sorridendo al destino e ricolmi di entusiasmo andandogli incontro chiedono:
– Africa?
– Quasi!
– Come quasi?
– Lampedusa.