Dopo aver chiuso il suo conto in banca, Totò Ascarone, senza passare neanche da casa, si diresse alla stazione e prese il primo treno diretto verso il Nord. Stava scappando via dalla sua città natale, dai parenti, dagli amici, dagli affetti, dalla pizza e pure dalle sfogliatelle. Ma, soprattutto, stava scappando via dalla musica neomelodica (o “musica ‘e mmerda”, come amava definirla lui) rivendicando il suo essere metallaro. Di contro, aveva sempre rimediato un sacco di mazzate. Anche gli amici, a turno, lo picchiavano per convincerlo del contrario. Ma lui niente, resisteva. Il padre lo schifava e la madre, pur volendogli bene, ogni tanto provava a dissuaderlo con parole d’affetto: “Totò co ‘sto metallo c’hai scassato il cazzo. Ma perché non t’innamori e ti canti una bella canzone di Cino Ricci?” A quel punto, Totò capì che l’unica soluzione era quella di andarsene per sempre e quando il treno partì, seduto accanto al finestrino, salutò per l’ultima volta la sua terra, agitando con forza entrambi i diti medi.