Stanotte ho saputo che c’eri. Ero lì, che guardavo il video dell’incontro tra Renzi e Grillo, e ho capito. Ho capito che eri tu, dentro di me e parte di me. Quel mai tentato dialogo, quel monologo, un po’ architettato e un po’ a braccio, quelle parole lontane dalla prassi, avrebbero dovuto essere il tuo grido, l’annuncio della tua rabbia, l’espressione sonora del tuo rifiuto. Un sistema che non va, che non va più, che forse non è mai andato, anche se per anni ha funzionato, senza sosta, macinando persone e cose altrove, perché il sistema è così che funziona, non ti mostra tutta la catena, ne vedi solo una parte, e per tanto tempo, lì dov’eri tu, quella era la parte finale, l’ultimo stadio, dove il sistema cagava benessere, e quando ce l’hai a portata di mano, il benessere, ben confezionato oltretutto, non ti chiedi com’è fatto, com’è stato fatto, dove parte la catena o dove vomita gli scarti, lo prendi e ci vivi, non si campa mica mille anni, fra sessanta settanta ottanta, qualcosa di più se hai culo, sarai sotto terra. Il mondo migliore, se già ci sei dentro, cazzo lo cerchi a fare?

Poi è successo qualcosa, vai a capire, un difetto o magari un’anomalia, o forse, anzi più probabile, il vero marchio di fabbrica del sistema, com’è pensato e progettato, ti piace pensare anche guidato, la catena si sposta, i nastri le presse gl’ingranaggi lentamente si orientano in altre direzioni, cercando cibo, materie prime, come fa un qualunque branco, per vivere, per sopravvivere, il bene o il male non c’entrano, sono i cicli vitali, gli ecosistemi. Star bene tutti ovunque è ridicolo, cos’è? il comunismo?, ma per favore, così alla fine l’animale s’è spostato, da quella posizione ch’era ormai scomoda, ha trovato un posto caldo per il ventre, uno soffice per la testa, uno spazioso per roteare la coda, quando ha voglia, per sgranchirsi, e ti sei ritrovato nel posto sbagliato, sbagliato poi in base a cosa?, diciamo sfortunato, sei all’inizio della catena, verrai schiacciato sminuzzato piegato macellato, affinché, sempre lontano da te, qualcuno prosperi.

Il tuo grido lacerante contro il sistema, circostanziato però, ché il sistema è tutto, non puoi prendertela col tutto, passeresti per pazzo, ti serve un tutto limitato, un tutto a portata di mano, che puoi quasi toccare, diciamo un sottosistema, vicino a te, accanto a te, e sfigato altrettanto, a trovarsi lì in quel momento storico, e chi lo popola son quelli che sono riusciti a saltare e aggrapparsi, quando passava la pinza, la lama, la pressa, e ora stanno lì, appesi, a dare direttive, direttive sul come farsi schiacciare, e potevi esserci pure tu, là sopra, appeso a dare direttive, se eri un po’ più sveglio, invece oh, sfiga, t’è mancato il tempismo, la voglia, la forza, così adesso sei sotto di loro, insieme a molti, moltissimi, quasi tutti, voi, tu, li avete quasi a portata di mano, siete tanti, vi date una mano e c’arrivate, che ci vuole? li tirate giù, non che serva a salvarvi, ma almeno la soddisfazione di fare tutti la stessa fine, basta allungare un po’ la mano, salire sulle spalle del vicino, però no, non lo fa nessuno, ma gridare, ecco, gridare sì, gridare, cazzo sì, gridare tanto da stordirli, da terrorizzarli.

Tutti pronti allora? al tre gridiamo! uno… due… ‘spetta. Aspetta cosa? Grido io per voi. E chi cazzo sei? Stavo fuori, davanti ai cancelli della fabbrica, gridavo. Sono bello caldo, grido io per voi. E perché? Grido più forte di tutti, mi sentono meglio, ci sentono meglio. Facciamo così, voi mi dite cosa gridare, io lo grido. Sai che, mica male come idea. Noi siamo tipo la voce, tu sei il micr… il megafono, ecco, il megafono. Gli facciamo saltare i timpani. Capito tutti? Io non conto niente, alla fine, siete voi il messaggio, io ci metto i decibel, voi le parole. Tutti d’accordo? Tu e tu no? Va bene lo stesso, basta che state zitti, anzi, guarda, andate fuori. Adesso urlo eh, pronti? Al tre! Uno… due… ‘spetta. Cosa? Secondo me se vado più vicino funziona meglio. Più vicino dove? Più vicino, sopra, mi arrampico. Mi date una mano mi arrampico. Sì che se va più vicino funziona meglio! Ecco. Allora, dai, adesso mettetevi qui, mi aiutate, vado su e grido. Va bene? Va bene. Al tre mi tirate su. Uno… due… tre!

Oh, è andato! Vedi che adesso gli fa un culo così a tutti. FAGLI UN CULO COSÌ!!1!!11!!!… Ma… Che c’è, non ci sente? Ebbè, è bello alto lassù. Non arriva la voce. Tanto poi adesso grida, sentirai che musica, verranno giù uno a uno, in pezzi. Sta gridando? No, non credo, non ancora. Si starà preparando le parole… ‘spetta. Che c’è? Gliel’abbiamo poi detto cosa deve gridare?

Così ancora una volta hai prestato la tua voce a un altro. Il tuo grido, che doveva riecheggiare ovunque, è stato preso e sintonizzato, elaborato, allineato e armonizzato, trasmesso in forma silenziosa, ricevuto nell’apposita sede, discusso, analizzato, formalizzato, stampato, calendarizzato. Infine esposto. Irriconoscibile. Il tuo grido è diventato una voce impettita, sdegnata, un accento non tuo, ascoltata da pochi e dimenticata al successivo scampanellio. Eri un urlo, sei diventato un mugugno. Dovevi riecheggiare nelle strade e nelle piazze, ma sei un bisbiglio in stanze ben arredate, sei un rumore per cui non ci si volta nemmeno.

E forse a te sta bene così, in fin dei conti. Cosa ti metti a fare, le barricate? A incendiare roba? Sparare? Guarda lì, che l’hanno fatto, ci sono scappati i morti. Nemmeno pochi eh. E io son d’accordo con te, cosa credi? Mi ci vedi, per strada, a tirare robe, a prenderle dalla polizia, a fare gli attentati? Sono mica scemo. E poi c’ho paura. Non le so proprio fare, ‘ste robe.

Sì, fai pure così. Fai gridare chi per te. Solo, un favore: abbi la cazzo di decenza di non chiamarla rivoluzione. E togli tutti quei punti esclamativi.

Io, di mio, me ne starò qui, senza arte né parte, a guardare, mentre il sistema ti divora. Giusto un attimo prima che divori anche me.