Iniziamo un viaggio alla scoperta delle grandi toilette italiane. Partiamo da Roma, con Manlio Scatomanni, premiato come Toilette dell’anno nell’ultima edizione della Guida del Gambero Marrone. Ideatore e anima de L’Étoilette, Manlio ci racconta la sua originale interpretazione di gabinetto.
Si arriva nel piccolo gabinetto nel cuore di Monteverde Vecchio chiedendosi come sia possibile per un’attività artigianale sopravvivere qui, lontano – lontanissimo – dai clamori dei percorsi gastrointestinali più consolidati. Ci vuole poco, perché un viavai continuo di curiosi e clienti affezionati smentisca la prima impressione. Il merito è tutto di Manlio Scatomanni, mastro gabinettiere con un passato da ceramista, che qui ha saputo riversare la sua voglia di sperimentare alla ricerca di un appagamento totale dei sensi. L’ambiziosa idea, sottesa al nome L’étoilette, è quella di “ricreare con il gabinetto un’atmosfera che coinvolga su tutti i piani, anche quello del gusto, secondo una concezione estetica mutuata dall’antichità, quando la latrina diventava un luogo per stupire gli ospiti con musica, effetti speciali e raffinate presentazioni delle deiezioni”. Una persona schiva, Manlio, e fuori dal comune, con una precisa idea su cui lavorare ogni giorno, senza aiutanti, per arrivare al prodotto finale: un escremento declinato in gusti sempre diversi, ognuno pensato per riprodurre un’esperienza a sé, attraverso abbinamenti particolari ispirati da una ricerca storica, che attinge ai vespasiani di Bartolomeo Stappi, lavacessi dei papi nel Cinquecento, come agli odori apprezzati alla corte di Re Sole. Una rapida occhiata alla tazza disorienta la vista: copriwater in velluto impermeabile e sifone al seltz con discesa in acqua antischizzo e deodoranti all’aroma di mela verde e salvia, crema al timo e limone, cioccolato bianco al mirtillo.
Com’è nato il tuo interesse per la storia e l’idea di utilizzarla nell’arte della vespasianeria?
Ho iniziato a studiare la concezione di latrina nei tempi più antichi, non tanto nell’antichità classica, ma a partire dall’età neoclassica, quando si è cominciato a sviluppare un discorso di water closet. Quando parlo di defecazione non intendo quella che oggi effettuiamo a fine pasto, ma degli entremets, come si chiamavano in francese, tra le portate; a quel tempo le pietanze venivano servite sulla tavola contemporaneamente e inframezzate da qualcosa di molto simile ai nostri parti anali post-pranzo. In questo contesto si usavano spesso miele, frutta secca, grano e le spezie giocavano un ruolo fondamentale, per le loro proprietà olfattive, diuretiche, toniche, calmanti, ma anche perché stronzi ben confezionati e non immediatamente scaricati erano testimonianza del prestigio di chi li creava e li lasciava ammirare. È questo il momento storico in cui si inizia a curare la forma dello stronzo, cronache dell’epoca ci raccontano di vere e proprie sculture fatte di escrementi dalle forme più insolite. Io ho cercato di elaborare alcune di queste suggestioni, attingendo anche a tecniche specifiche: un sistema di condotti e formine per ingabinettare stronzi in maniera più elegante che con i normali e poco aggraziati tonfi, il tutto in un tripudio di zafferano accompagnato con miele e noci o al finocchietto e al bergamotto. L’atto della defecazione è un grande rimosso della nostra società, io voglio conferire agli escrementi la dignità che meritano, come se fossero elaborati piatti da servire in tavola a Gianni Morandi.
Ma sei riuscito a recuperare la tradizione adattandola al gusto contemporaneo.
Sì, infatti quando uso le spezie cerco sempre di non esagerare, perché non siano invadenti e restino un accompagnamento più che un’aromatizzazione. Ogni sapore ha il suo grande alleato, come mi piace chiamarlo. Si può giocare in diversi modi: o per contrasto, accostando due gusti opposti che trovino un nuovo equilibrio nell’unione, o per complementarità, con due gusti che si accompagnino, aiutandosi l’uno con l’altro. Ad esempio il Lampone in liquame diarroico unisce due ingredienti completamente opposti, che messi insieme creano un gusto molto equilibrato; il Cioccolato al caramello con sciolta di anziano, invece, è ottenuto da aromi molto vicini come carattere, che si esaltano a vicenda.
Quindi come arrivi a realizzare un gusto?
Inizialmente parto dal gusto base, che è sempre la merda. Posso scegliere se lasciarlo pulito o decidere di aiutarlo con un ingrediente che possa giocare da alleato, come forfora, urina o sperma. La rotazione dei gusti segue principalmente la stagionalità e ciò che si è mangiato durante la giornata.
E per quanto riguarda il reperimento degli ingredienti?
La carta igienica la scelgo io personalmente, mentre le fosse biologiche provengono da una azienda dell’Umbria. Con la ceramica ho deciso di cambiare, presto utilizzerò quella di Vietri, per un discorso di termoconducibilità – la temperatura del sedile, oltre al diametro accuratamente studiato, conferisce una cremosità tutta particolare. Pensavo influisse sul gusto in modo eccessivo, ma questa tipologia, così come la porcellana, fornisce una merda saporita eppure morbida, adatta per il gelato. Mi permetterà anche di introdurre preparazioni a base di diarrea e smoothies per l’estate, che sto sperimentando.
Voto: ★★★★★