Caro Silvio,
guarda, ci ho ripensato. Perso per perso meglio dirselo.
Ché poi, “perso”, di cosa si potrà dire? Di chi non hai mai avuto, o di ciò che hai dimenticato di avere o, peggio, che non ti sei accorto di avere?
Ecco, il punto è sempre che non sai mai niente per bene, compiutamente. Non si sa, è sempre sottinteso, metaforico, malcelato, anche quando schiaffato in faccia. Anche quando lo scrivi nero su bianco.
Pensando a questa situazione e a come chiarirla, a te o a entrambi, mi son venuti in mente quei tizi appesi alla parete di finta roccia nel mega centro commerciale.
Pareti color panna di plastica, luce troppo accesa. C’erano dei ninja coloratissimi, alcuni sembravano più delle lunghe cavallette forzute, appesi a una parete tempestata da brufoli deformi e colorati, fluorescenti, con le scarpe piantate sul linoleum giallo sporco, desiderosi di diventare testimoni di un qualche evento straordinario.
I clienti del mega centro commerciale, invece, guardavano i free climber come si sbircia un incidente in autostrada desiderosi, di vederli spiaccicati al suolo.
I tizi in calzamaglia erano grotteschi nella sfrontatezza con cui si prendevano gioco del misto di stupore e idiozia che univa il gruppone del pubblico. Non era uno show, non c’era un copione: loro si allenavano gratis, mostrando potenzialità di attrezzatura e parete finta a una platea di improbabili clienti, ma tutto sembrava avere comunque un senso commerciale non raffinatissimo, ma efficiente.
I gonzi entravano a frotte nel grande negozio di articoli sportivi, spinti dall’irrefrenabile desiderio di spendere soldi per usare almeno per una volta parti del corpo sepolte da strati di ciccia, sicuri di poter tornare al mare in costume e sembrare migliori di quei tizi appesi come salami incartati male.
Loro, là sopra, come dèi delle vette, si bullavano a voce alta degli schifosi mollicci là sotto, sulla terra fangosa. I disgraziati a terra deridevano l’immane e – a loro parere – completamente inutile fatica degli sfigati appesi e vestiti come supereroi mancati, brutti come ragni, a spaccarsi la schiena (letteralmente se si sgancia qualcosa) per uno sport solitario faticosissimo e privo di figa.
(Il termine di paragone è sempre il calcio, ovvio)
Me n’ero andato prima che tutta quell’attesa cinica e fortunatamente inutile mi facesse desiderare una nuclearizzazione immediata del sito.
Mentre ci ripenso, mi sento a mio agio nell’esempio, sia come free climber sia come spettatore, e insieme vorrei morire dalla tristezza. Per te era previsto che l’esempio finisse con la tua caduta rovinosa in mezzo alle risate di altri sfigati.
È ormai un esercizio mentale. Mi impongo di incazzarmi, mi sfogo cazziandoti e, infine, mi sento meglio, liberato da qualcosa che non sapevo di avere, né di dover lasciare andare via.
La parte migliore di questa recita monologo è quella in cui percepisco il rilassamento liberatorio, simile a quello dopo aver vomitato.
Non è esattamente una bella sensazione, ma sai che da lì in poi andrà solo meglio, che hai buttato fuori qualcosa di grosso o di fetido o entrambi. E sai che starai – se non benebene – meglio di sicuro.
Fino al prossimo ripensamento, almeno.
Tuo per sempre, in ogni caso.
Sandro.