(Disclaimer. Per procedere alla spiegazione di questo fenomeno, pur utilizzando concetti avanzati dalla neurobiologia, non è stato necessario l’uso di cavie umane)

Prendiamo la teoria del neurologo Donald Hebb, secondo cui gli insiemi che costituiscono l’esperienza visiva, tipo gli oggetti o le figure geometriche complesse, non sono innate nel nostro cervello, ma sono il frutto dell’apprendimento. Fate la prova: spegnete la luce e tastate un oggetto lungo e duro. Capirete subito, per esperienza, che non è il vostro ragazzo.

Prendiamo poi la sua domanda da un milione di euro in biglietti di piccolo taglio: come può esserci un unico sistema che possa creare una traccia mnemonica fissa e strutturalmente iscritta nella corteccia e, allo stesso tempo, permetterne il riconoscimento?

Che tradotto per i fan di Gigi D’Alessio significa: come riescono l’esperienza e l’apprendimento a modificare la struttura del nostro organismo in modo tale da distinguere, al buio, il nostro ragazzo da una mazza da baseball? E l’amore, direte voi? Un attimo, ora ci arriviamo, non siate impazienti.

Secondo Hebb, le uniche strutture innate, nel nostro sistema visivo sono:

1 – la capacità di distinguere la figura dallo sfondo. Il corpo nudo della tipa sdraiata sul vostro letto, ma non il letto. Di che colore sono le lenzuola? Appunto.
2 – la capacità di distinguere alcuni aspetti localizzati delle figure. Non fate mai caso al comodino, ma al suo spigolo sì.
3 – la capacità di prendere visivamente questi dettagli innati e di organizzarli in maniera più o meno casuale, grazie all’esperienza. (Questa affermazione sembra una buona scusa per dire “ieri è morta nonna e non ho potuto studiare”, ma si capisce bene se pensate a una bionda, inginocchiata davanti a voi, mentre vi legge il libretto d’istruzioni dell’iPhone. Questo non v’impedirà minimamente di pensare alle sue labbra sopra il vostro uccello).

Ora, a livello fisico, questi aspetti innati risiedono dentro dei neuroni della corteccia. Quando sono attivati tutti insieme, essi creano un “circuito riverberatorio” che continua a stimolarli anche quando l’oggetto non c’è più. È lo stesso effetto che ottenete quando staccate di colpo il cavo della radio accesa e quella continua a trasmettere ancora per qualche secondo. Credo sia l’effetto Faraday, ma non essendo un fisico non vorrei deludere gli esperti del settore, oltre ai fan di Gigi D’Alessio, ovviamente.

Dicevamo: questi neuroni, stimolati tutti assieme, diventano come la radio di cui sopra. Quando lo stimolo sparisce, l’effetto continua ancora per un po’. Se la bionda che ora vi sta succhiando l’uccello smettesse all’improvviso, voi continuerete a sentire le stesse sensazioni per almeno altri 1-2 secondi.

Se però la stimolazione diventasse continua, cioè se la tipa continuasse a fare quello per cui le avete dato 100 euro, senza fermarsi, i singoli neuroni avrebbero il tempo di formare degli agglomerati di cellule che poi un giorno agiranno in maniera interdipendente. In pratica, anchea distanza di mesi, sarà sufficiente che un dettaglio qualsiasi vi richiami alla mente quell’istante, e voi inizierete a toccarvi.

Questo ci riporta alla domanda iniziale: com’è possibile che il nostro cervello si ricordi ancora della bionda, nonostante siano passati anni, e ora siate diventati degli esperti omosessuali? Accade perché gli agglomerati cellulari avranno, grazie anche all’esperienza maturata, formato una “struttura super-ordinata” e in grado di archiviare ogni singola sensazione a lungo termine. In pratica, la vostra memoria non funziona come un computer, ma è fatta in modo che basterà richiamare un dato/dettaglio (stimolare cioè una singola “struttura super-ordinata”), affinché si ricevano più stimoli associati alla stessa esperienza vissuta. Ogni “struttura super-ordinata”, infatti, sarà in grado di agire autonomamente. Chiudete gli occhi e pensate ad un pompino qualsiasi: quante ragazze vi son venute in mente? Visto che funziona?

L’amore, dicevamo! Dato che siete dei marpioni e nella vita vi avranno fatto almeno più di un servizietto, ecco che quando penserete all’amore con la A maiuscola (magari seduto sopra a voi), insieme vi arriveranno anche le sensazioni di tutte le altre esperienze simili e già vissute. In parole povere, quello che chiamiamo “amore” non è altro che un insieme di neuroni della corteccia, organizzatisi col tempo in “strutture super-ordinate” e che contengono tutte le esperienze simili, associate tra di loro.

Perciò, quando la guardate negli occhi e sentite quella piacevole sensazione di benessere, convinti che sia l’effetto dell’amore, ricordatevi che dentro ci state infilando anche le sensazioni legate ai pompini della sua migliore amica, la semifinale Italia-Germania e il primo 30 e lode all’Università.

E quello non è amore.