Io, quando scrivo, sembro proprio uno scrittore. Mi piazzo lì, al tavolino di un bar in centro, all’aperto, possibilmente sotto un tendone, un ombrellone, un gazebo; una penna o una matita in mano, il taccuino, accavallo la gamba, e scrivo. Scrivo un po’, poi mi fermo. Osservo il foglio per qualche istante, alzo lo sguardo, lo punto lontano, su niente in particolare. Quando arriva il cameriere, a chiedermi cosa voglio, cosa desidero, per un attimo faccio un’espressione disturbata, di chi gli si è spezzata la concentrazione, ha perso il filo, gli è sfuggita un’idea. Ordino un caffè, o un’aranciata, e via a scrivere, di nuovo. Quando torna il cameriere ho preso il via, non stacco la penna dal foglio, dico grazie di corsa e vado per la mia strada. A vedermi da fuori, sono sicuro, sembro vero. Invece è la lista della spesa.