Lo so, la fisiognomica è un colpo basso. E prendersela con i morti pure. Ma bisogna ammetterlo: l’attivista svizzero Giuliano Bignasca, detto Nano, aveva sembianze inquietanti, come la sua concezione del mondo. L’orco delle fiabe l’ho sempre immaginato così: capelli da strega e faccione ricoperto da troppa pelle che forma una sorta di sacca sotto il mento.

Bignasca, scomparso improvvisamente nel 2013, è noto per aver fondato la Lega dei Ticinesi, una congrega di populisti a dir poco intolleranti verso gli stranieri, come molti italiani. Ma questa volta è il nostro turno: siamo noi gli stranieri.

Qualche anno fa il Nano intervenne all’Infedele di Gad Lerner in collegamento da Lugano. E ne approfittò per manifestare disprezzo verso l’Italia con singolare veemenza, forse derivante dal complesso che hanno molti xenofobi; la sensazione che la loro superiorità non sia universalmente riconosciuta. Spesso questo dubbio è fondato. Per esempio, numerosi svizzeri di lingua tedesca, non meno imbevuti di pregiudizi, si sentono migliori dei ticinesi, che definiscono lavativi e (pensate un po’) razzisti, come risulta da un sondaggio su larga scala del 2014. E magari ci sono esponenti della burocrazia artica e cosmonauti vulcaniani che non vedono di buon occhio gli svizzeri tedeschi, considerandoli troppo passionali.

Quindi, per marcare le distanze e affermare con forza l’appartenenza a un’etnia distinta, il ticinese xenofobo sottolinea le ripercussioni identitarie della sua nascita dall’altra parte di una frontiera. Dice a chiare lettere: “Noi siamo un’altra cosa rispetto agli abitanti del paese confinante in cui si parla la nostra stessa lingua. Non si nota la differenza?”. Non abbastanza, benché il successo dei libri di Gramellini non deponga a favore degli italiani.

Ma torniamo a Bignasca. Nel suo intervento all’Infedele ci insultò senza mezzi termini. “Non avete nulla. Non avete infrastrutture, non avete ospedali, non avete scuole”, disse suscitando ilarità tra gli ospiti di Lerner. Un paese del quarto mondo, così ci descriveva. Un posto in cui ti aspetti di trovare capanne di fango, epidemie di ebola e donne con 20 figli che percorrono chilometri nella polvere alla ricerca di una fonte d’acqua. Tuttavia il Nano, stranamente, guardava con favore ai soldi degli evasori italiani nelle banche svizzere, rivelando in quest’ambito un atteggiamento di totale apertura. Si batteva infatti per la liquidità multietnica nelle casseforti elvetiche e lo preoccupavano le richieste di collaborazione per combattere il fenomeno. I ricchi patrimoni italiani sottratti al fisco già li vedeva, con orrore, diretti verso Singapore.

Ma il più grande cruccio di Bignasca era l’esistenza dei frontalieri, i lavoratori provenienti dai territori italiani confinanti con Svizzera: sottopagati rispetto ai cittadini elvetici; remunerati a peso d’oro per gli standard del nostro paese, dove il costo della vita è sensibilmente inferiore. Bignasca li considerava il Male, la piaga biblica, il tassello mancante tra la farfalla che batte le ali a Pechino e il ticinese che non trova lavoro a Lugano. Oggi sono 60.000. Un numero impressionante in un cantone con 350.000 abitanti. Queste cifre alimentano una diffusa insofferenza. I leghisti locali addossano ai frontalieri tutta la colpa della non trascurabile disoccupazione ticinese, come se gli imprenditori che li assumono fossero vittime innocenti di congiunture imponderabili. Privilegiare i ticinesi nel lavoro è da sempre il primo comandamento leghista, tuttavia lo stesso Giuliano Bignasca, imprenditore prima ancora che politico, fu condannato nel 1993 dalla Corte di Lugano per aver impiegato lavoratori jugoslavi senza permesso al posto dei costosi connazionali. Vista la sua coerenza, scommetto che di nascosto ascoltava i Pooh mangiando focaccia genovese e fumando sigari Toscani.

Agitando lo spauracchio dei frontalieri, nelle ultime elezioni cantonali la Lega dei Ticinesi si è confermata il primo partito, seppure per un soffio, anche senza il suo leader carismatico. Il megafono del partito è il quotidiano Mattinonline, diretto da Boris Bignasca, giovane, carismatico quanto un asse da stiro, ma rampollo di Giuliano e quindi niente gavetta. Nel sito non si parla solo di frontalieri o di altre ossessioni degli xenofobi, come i musulmani. C’è una rubrica dedicata alle vicende del nostro paese, ribattezzato con bonomia Fallitalia, e descritto come un ricettacolo di corruzione e sprechi. Non hanno tutti i torti, ma la convinzione che tali magagne siano una componente ineliminabile della natura italica traccia l’identikit di una campagna d’odio. Sembra quasi di leggere gli articoli di Vittorio Feltri contro il nemico di turno.

Ma noi italiani capitati sul sito Mattinonline non vogliamo pensare agli editoriali di Vittorio Feltri. Per un istante ci aggrappiamo a un brandello di orgoglio nazionale. Vien voglia di rifugiarsi nel mito pittoresco degli italiani accoglienti, ospitali e dotati di grande calore umano, per contrapporlo a quello dei freddi orologiai svizzeri che monitorano la presenza di cartacce per terra e sono arroccati, anche mentalmente, sulle montagne. Ma la realtà è diversa. Nel Canton Ticino la xenofobia è anche oggetto di dibattito e il Mattinonline è bersagliato da molte critiche, mentre l’ospitalità italiana si sgretola in una qualsiasi puntata di Ballarò dove troviamo Salvini o la Meloni tra gli ospiti, oppure nei commenti su Facebook alle notizie riguardanti barconi affondati.

E c’è un altro aspetto che getta una luce paradossale sull’intera questione. Diverse foto raffigurano Umberto Bossi e Giuliano Bignasca. Si scambiavano convenevoli, sorrisi, abbracci, gesti di vittoria. Perché la Lega dei Ticinesi è nata ispirandosi, persino nella scelta del nome, alla Lega Nord. E tra i due partiti c’è un sodalizio che dura tuttora, tanto che le opinioni di Salvini trovano grande spazio sul Mattinonline. Secondo i leghisti ticinesi Salvini è l’unico interlocutore italiano degno di credibilità. E allora non ci sono dubbi: la Lega dei Ticinesi, il partito che ci disprezza, è l’ennesimo successo del Made in Italy. Siamo fatti così: diamo idee a chi vuole odiarci meglio.