Primo tempo.
Manifestazione neofascista. Saluti romani e bandiere con croci celtiche. Tutto al rallentatore. C’è anche un giovane Alemanno che parla da solo, con gli occhi fissi sulla telecamera. La manifestazione diventa un rumore di fondo, mentre lui racconta progetti e piccole utopie: mangiare, bere, pestare la gente. Pausa. I personaggi che circondano Alemanno ora sono immobili. Sembrano congelati. Lui interrompe il silenzio con una frase lapidaria, concepita per condurre lo spettatore a un livello superiore di consapevolezza. E invece è una cazzata. Uno straordinario Toni Servillo interpreta il ruolo di quello che passa di lì per caso, scuote la testa e se ne va.
Stacco improvviso.
Scena corale di pestaggi. Alemanno le busca da tutti. Poi al bar si vanta con due amici di averli fatti neri, quei sovietici di merda. La cameriera si avvicina e chiede: “Volete un cocktail?”. Alemanno risponde: “Ci hai presi per comunisti froci?”. Tutti ridono, tranne la cameriera. Un monumentale Toni Servillo interpreta un tizio che ordina un Margarita al bar.
Dissolvenza.
Alemanno è in carcere, steso su una branda. Pensa ad alta voce. “Sono innocente”, dice al suo compagno di cella, un fascista con la svastica tatuata sul braccio destro e la barba nera da hipster. “L’innocenza è da froci”, risponde quello. Alemanno è pensieroso, come uno che ha capito una cosa importante. E invece non ha capito un cazzo. Un immenso Toni Servillo interpreta il secondino che li osserva e dice “bah!”.
Secondo tempo.
Croci celtiche. Saluti romani. Sembra un’altra manifestazione di studenti neofascisti, ma è il ricevimento nuziale di Alemanno. Si è sposato con Isabella Rauti, figlia di Pino, il guru del MSI. Tra i tavoli si muove un personaggio mascherato da Mietitrice, munito di falce, che intona una canzone di Califano. Brindisi. “Viva gli sposi! Discorso! Discorso!”. Alemanno prende la parola. È impacciato. Dice solo: “Grazie a tutti… ecco… volevo dire… Fanculo! I discorsi lasciamoli ai froci. Pensate a mangiare!”. Applausi. Commozione. Atmosfera improvvisamente decadente. Dissolvenza. Sala d’ospedale. Isabella culla il figlio appena nato. Con lei ci sono Gianni e nonno Pino, che si congratula con i neogenitori. “So che farete la scelta giusta”, dice. Ma si sbaglia: decidono di chiamare il bambino Manfredi. Grande prova del superlativo Toni Servillo nel ruolo del dottore che riesce miracolosamente a non ridere sentendo quel nome.
Stacco improvviso, sottolineato dai Carmina Burana.
L’ascesa di Alemanno nel corso degli anni è raccontata con un blob di immagini e sequenze incalzanti. Applausi, strette di mano, discorsi lasciati a metà, soldi che passano di mano in mano, saluti postfascisti (uguali ai saluti romani ma fatti nei bagni pubblici o in locali deserti della periferia, durante scambi di mazzette). Poi Alemanno è al centro di una festa in cui tutti si muovono al rallentatore. Fa il gioco delle tre carte mentre una milf interpretata da Sabrina Ferilli si spoglia senza motivo. Inquadratura del viso di Alemanno che pronuncia qualche parola con il chiaro intento di fotografare la situazione. E invece spara solo cazzate. Splendida assenza di un inarrivabile Toni Servillo in questa scena.
Dissolvenza.
Tutti chiamano Alemanno “signor sindaco”, e questo significa che le elezioni capitoline sono andate male. Alemanno passa in rassegna alcuni uomini in piedi di fronte a lui. Deve scegliere la sua squadra in base a severi criteri meritocratici: “Tu sì. Tu sì. Tu hai la faccia da fighetta che legge romanzi russi, per me è un no. Tu… ma non sei il cugino del pronipote di mia zia? Vieni qui, fatti abbracciare! Tu… quanto fa 497×396? Scherzo, non me ne frega un cazzo, torna a casa. Tu sì. Tu… cos’è quella giacca rossa? Non ci siamo…”. Un uomo con gli occhi da faccendiere lo interrompe e si rivela un faccendiere. Propone ad Alemanno strani affari. “Conta su di me”, dice Alemanno. Qualche ora dopo il sindaco passeggia con un amico che gli consiglia di restarne fuori. Ma lui risponde: “Restarne fuori è da froci”. Il caleidoscopico Toni Servillo cattura l’attenzione dello spettatore nel ruolo di un tizio che legge il giornale in lontananza, con un’espressione impassibile. The end.