Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie a quadri della rivoluzione e delle legioni! Uomini e forconi d’Italia, dell’impero e del regno di casa nostra! Ascoltate!

Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili.

Sopportammo per lustri interminabili la prevaricazione di una classe politica avvinghiata al privilegio come cane voglioso al polpaccio. Per anni assistemmo inermi allo svuotamento progressivo e inesorabile della sacca purulenta e vitale di valori nazionali. Ancora oggi restiamo atterriti di fronte al subdolo cinismo del potere della casta, vera oligarchica legione che avida succhia e ruba e raschia i fondi delle nostre proprietà, come sanguisuga su molle lembo di membra di polposa giovincella.

Ma ora è basta. Ora lo è.

Il popolo è stanco, impoverito ed estenuato. Il popolo si ribella e si rivolta contro le istituzioni, conniventi associazioni a delinquere di questo glorioso e merdoso Paese.

Ora ha basta! Ora ha!

Prendiamo i forconi e usciamo in strada, come fecero i nostri avi prima di noi, liberando il Po dalle giacche blu della barbarie nordista e il Tevere dalle orde ingentilite delle puttanelle sovietiche. Assaltiamo Porta Pia per liberare le madri di Plaza de Mayo, prima, e dopo quelle di Ponte Milvio de Mayo. Scacciamo le meretrici comuniste dalle casseforti dell’IN(M?)PS e prendiamo ciò che è nostro. Noi siamo i lavoratori, le braccia forti e sicure di questo sacro Paese, i guardiani della libertà di questo blocco marmoreo a 16 giga chiamato iTalia. Scacciamo dagli uffici i borghesotti incravattati esperti di discipline omosessuali, laureati grazie ai soldi pubblici delle pensioni d’oro dei falsi disabili di Equitaglia, e mettiamoci i nostri ragazzi, uomini in grado di cambiare uno spinterogeno e di innestare un albicocco con il solo sudore della fronte. Chiudiamo quei covi del vizio che sono gli uffici postali e sostituiamoli con locande del popolo in cui praticare la nobile arte della morra e del furbone. Forconi di tutto il mondo, uniamoci e adoriamo la nostra sacra patria, la nostra forca Italia, la nostra madre Madonna, la nostra Forca Madonna, madre del popolo calloso, signora della manutenzione, ostile alla depilazione e paladina delle croci d’oro.

Scendiamo nelle Piazze e uniamoci a coortez, compagni e legionari, come già prima di noi i nostri padri fondatori, Fabrizio Corona, Padre Pio e Rasselcrò. Staniamo i colletti bianchi froci dalle banche siderurgiche, raddrizziamo le schiene dei figli di Satana affastellati come sedani rapa sugli scranni umettati della stampa di regime. Bruciamo i giornali e lasciamo che le nostre parole di verità volino su Facebook, così come alabarde di verità volarono Gesù Cristo, e, prima di lui, Gattuso. Appicchiamo un fuoco in ogni città, e gettiamo nella pira froci, drogati e direttori di rete. Scacciamo dalle nostre autostrade le utilitarie statali e restituiamole alla nobile arte del libero camionismo. Uniamo piazza a piazza, quartiere a quartiere delle nostre belle città, come fossero fertili tube di Falloppio di una curvilesa mamma italiana: le torri svettanti di Campobasso alle libere praterie di Messina sul Garda, le mille chiese gotiche di Bassano del Grappa ai cippi etruschi di Cerignola. Diciamo basta a destra e sinistra, sopra e sotto, abbandoniamo le sterili categorie intellettualoidi che ci hanno imbrigliato per quarant’anni di governo plutocomunista. È ora di pensare nuovi pensieri, di parlare nuove parole, i forconi non sono di destra e di sinistra, perché sono di intorno, come lo è la nuda terra che accoglie i nostri figli dopo la riflessione dell’aperiteca. Sono forse di destra i nostri calli nodosi che afferrano sicuri il volante? Lo è il gomito che si sporge altero a dominare il vento? Sono forse di sinistra i nostri cellulari rivestiti di giallo-libertà? Sono di dentro, come lo è il verme operoso che onora la mela.

Ma un popolo non è solo il mezzo che guida, né le caldaie che installa. Un popolo è soprattutto la moneta che spende. L’Europa del molle ladrocinio, sterile creatura artificiale inventata da parassiti statali teutonici dopo la messinscema della caduta del mulo di Berlino, ha imbrigliato i popoli al di sotto delle nostre sacre vene, l’Adige e il Volturno, per prosciugare la ricchezza insita nel nostro territorio e nel nostro destino. Bruciamo gli euro, moneta lesbica e falsa, e torniamo alla poderosa Lira, conio antichissimo e santo che già i romani seppero rendere provvido e fruttuoso nelle conquiste di Abissiniam. Torniamo a battere moneta, come ogni popolo libero ha sempre fatto, torniamo a battere, cosa a cui ogni popolo libero ha sempre anelato. Uniamoci allora ai nostri fratelli in divisa, armiamoci con i loro scalpi ferrei e sponsorizzati all’assalto delle oscure stanze del podere, liberiamo le vacche e le giovenche dalle catene republicane e spezziamo le erinni allo Statalismo federalista dei servi della magistratura. Prendiamo le redini e lanciamole al popolo, così che possano legarle al polso etereo dell’aratro e trascinare questo stivale lungo le correnti gelide del Maghreb, laddove la libertà trova compimento, laddove le madri covano i figli, laddove i soldi producono latte dai cuccioli e farina dai noccioli floridi della menocrazia.

Ora è basta, popolo, ora glielo è.

Staniamo le nostre cartelle esattoriali dal lerciume delle nostre vite, strappiamo le ive e le irpef come aquila ostinata strappa midolli nella steppa silente del metapontino. Diciamo mai più alle tasse, obolo bolscevico asservito alla padroneria statale. Assaltiamo le casse opulente della Banca d’Italia, prendiamoci il PIL, sottraendolo alle vesciche totalitarie dei ragionieri di regime, e distribuiamolo alle genti del sud che soffrono di fame nel mondo. Prendiamoci l’IVA e l’IMU e diamole ai nostri pensionati, perché finalmente possano avere un televisore al plasma come tutti i popoli civili del nord.

Abbattiamo, compagni e legionari, femmine e caldaisti, abbattiamo! Abbattiamo il potere e costruiamo rotatorie di libertà, radiamo al suolo palazzi e auto blu! Uccidiamo gli amministratori di condominio, i professorucoli inebetiti di matematica e latino, i vigili urbani trostzkisti e i transessuali guidaici. Ora è il momento: il futuro è nostro, il futuro vivido e pulsante è nelle nostre mani. Afferriamolo, unti di virile fierezza italica, e poi su.
E giù. E su. E giù.
E su.
E giù.
E giù.
E giù.
E giù.