Noi Italiani siamo un popolo incapace di ribellarsi. Sopportiamo soprusi e ingiustizie senza fiatare, senza manifestare alcun dissenso. Secondo qualcuno si tratta d’indifferenza, altri pensano che sia una specie di fatalismo a bloccarci. La verità, forse, è un’altra. Quello che ci frega è l’attenzione all’abbigliamento. Vogliamo scendere in piazza, ma vogliamo farlo vestiti in un certo modo. Non possiamo metterci la prima cosa che capita. Sarà pieno di gente, ci saranno le televisioni, non si può mica andare coi soliti jeans e maglietta. Bisogna aprire l’armadio e scegliere con cura. Così avrò freddo? Caldo? Ci toccherà correre? Mi metto qualcosa di comodo. E se arrivano con gli idranti? Meglio l’impermeabile. Per cosa si manifesta poi? Se è per il lavoro, mica posso mettermi la t-shirt da 90 euro cucita dai bambini vietnamiti. Per l’ambiente? Eviterei il giubbotto di vera pelle. Un corteo di sinistra? Dove cavolo ho messo il parka? Un corteo di destra? Dove cavolo ho messo gli anfibi? E poi le scarpe comode, gli occhiali da sole, il fazzoletto, la borsa leggera, e il cellulare da caricare, facciamoci un caffè prima, magari lo dico anche a quelli del corso di fotografia, dove ho messo le chiavi?, capiamo il percorso prima, mica ci saranno i black bloc?, dopo ci fermiamo a mangiare da Enzo? Oh, inizia a far tardi, e se manifestassimo su Twitter?