Pensavo al mio compagno di banco delle elementari. Era mezzo ritardato, grasso, stempiato. No, stempiato no, non a nove anni, ma guardando la madre si capiva già come sarebbe finito.
Così mi son detto “Chissà come dev’essere ridotto male adesso che ne avrà 43”. A volte la propria autostima ha bisogno di questi trucchetti. Così vado a cercarlo su Facebook e scopro che è morto sei anni fa. Avevo ragione: sta messo peggio di me.
Gli ho chiesto comunque l’amicizia.
È incredibile come la società di oggi ci abbia trasformato in collezionisti di followers/amici su Facebook, come fosse una gara. Cioè, il tipo era morto e io gli ho chiesto ugualmente l’amicizia. E quello ha accettato.
Non appena diventi amico di qualcuno su Facebook, si apre subito Messenger che ti dice: “Mettiti in contatto con Mario”… “Ma è morto!”. Allora ho messo like a tutte le foto del suo funerale.
All’inizio volevo mettere un cuore, ma magari qualcuno avrebbe frainteso, così mi son detto “pollice in alto” e non ti sbagli mai.
Volevo pure lasciare un messaggio di cordoglio, magari corredato di foto di noi due, insieme, di quando eravamo alle elementari, col grembiule blu e il fiocco bianco, ma da bambino ero un bel cesso e non volevo si sapesse troppo in giro.
Certo, potrebbe andare peggio, ma non saprei come, e così ho lasciato perdere. Metti che poi non sanno neanche più di cosa stia parlando? Ho anche pensato “Magari si saranno pure scordati di lui e io vado a ritirargli fuori ‘sta storia”. Per non parlare dell’enorme figura di merda e dell’imbarazzo nel dover rispondere a quel messaggio. Ho lasciato stare.
L’imbarazzo delle condoglianze su Facebook. Davanti a tutti, dico. In passato mi è già capitato di partecipare a dei funerali, di stringere le mani a chi aveva perso qualcuno, consolarli, dirgli qualcosa d’incoraggiante, per quanto si possa incoraggiare qualcuno che ha appena perso una persona cara. Magari lanciare lì pure una battuta per sdrammatizzare il momento, rompere la tensione. Non dico farli ridere, ma distoglierli da quel pensiero fisso del lutto, per pochi secondi. In alternativa andare al tavolo del buffet e iniziare a mangiare qualche pizzetta con accanto un bicchiere di prosecco; sorridere a qualcuna, come a dire “Ehi, la vita va avanti, noi siamo ancora qui”.
Ma provateci su Facebook, davanti a tutti. Provate a scrivere qualcosa sapendo che chiunque la potrà leggere, ma senza sapere se quello è il momento giusto per farlo. Magari, in quel momento, quelli stavano comodamente seduti in poltrona, o in giro, o sull’autobus, o a fare la spesa, mentre tu inizi a dire tutte quelle cose su quanto ti dispiace, e condoglianze, e che bravo ragazzo fosse, anche se sono passati decenni dall’ultima volta che l’avevi visto, e adesso l’avevi cercato solo per stare meglio tu. E intanto loro immobili, davanti al reparto sottaceti, mentre la filodiffusione trasmette qualche brano inoffensivo, a chiedersi perché ‘sto stronzo ha pensato di scrivere ‘sta cosa proprio ora. Proprio ora che avevano trovato un momento di pace, davanti ai sottolio.
È terribile scrollare la dashboard e scoprire improvvisamente che un tuo amico è morto. E subito sotto vedere che parte un video di una tizia che scoreggia in piscina, perché hai pure amici di dubbio gusto.
È terribile andare sulla pagina del tuo amico, morto, iniziare a leggere frasi di cordoglio e guardare, in automatico, il numero dei like, i ricordi degli altri amici, le parole della sorella, della madre che ringrazia tutti quei messaggi, la pagina con l’intestazione “In memoria di…”, e intanto iniziare a chiederti “Chissà quanti like prenderò io, quando sarà!”.
Già, perché alla fine è questo: quanti vorranno ricordarsi di te (pubblicamente dico). Quanti avranno il coraggio di scriverlo, di palesarsi. Magari qualcuno racconterà pure qualche storiella che a te stava sul cazzo, ma lui la trovava divertente, e tu non potrai neanche impedirglielo.
No, aspetta, dai, non raccontare di quella volta che quasi mi cagavo sotto, quando eravamo in gita e per i crampi mi son dovuto accovacciare un paio di volte per strada, e la gente mi chiedeva “Si sente bene?” e non potevo rispondere perché ero tutto concentrato sul mio sfintere. A tenerlo chiuso, a resistere ancora quei cinque minuti prima di arrivare in albergo e, allo stesso tempo, pronto a cedere di schianto perché sì, volevo cagare. Non lo dire, dai, non posso spiegare com’era andata veramente. Non lo dire, no dai, non… ecco, l’hai detto. Guarda te. Neanche l’hai scritta e già subito 5 like. E un cuore. Chi cazzo mette un cuore ad uno che si sta per cagare sotto? Uno che è morto e ti raccontano che si stava per cagare sotto, anni fa.
C’erano anche due condivisioni al post. Non al mio che mi cago sotto, dico al suo. Al suo necrologio. Chissà che giornata di merda devi aver avuto per condividere il necrologio di un altro sulla tua pagina Facebook. Ehi, amici, un mio amico è morto e questo è il necrologio. Potete mettere like, cuori e commentare.
E poi c’erano anche tutti questi messaggi, tipo: “Ora che sei andato in un posto migliore”, “Ora che ci leggerai da lassù”, “Ora che forse troverai un po’ di pace”. Più che morto, sembrava si fosse cancellato da Facebook per aprirsi un account su Twitter. O chissà dove.
C’è da dire che almeno la pagina del defunto, una volta trasformata “In memoria di”, non viene più visualizzata tra i suggerimenti, quindi, una volta morti, a nessuno verrà mostrato il vostro bel faccione tra “persone che potresti conoscere”, ma i vostri amici potranno comunque continuare a postare feticci sul vostro profilo.
Sembra che la vita sia una sola, ma a volte anche due, tre, o quattro. Sempre tutte da sole, però. Non disperate.