Dopo lo tsunami di notizie durante e dopo la strage di Parigi è affiorata una storia che sembra scritta per sbriciolare quel poco di positivo cui uno s’aggrappa nei momenti di sconforto. La commozione con cui pochi giorni fa siamo stati un po’ tutti Charlie è svanita, e adesso imbarazza vedere quel #JeSuisCharlie spontaneo trasformato in tormentone o provocazione, o motivo di discussioni feroci e di brutte figure.
Mentre ancora eravamo tutti commossi e in rete era un fiume di disegni e omaggi al lavoro di Charlie Hebdo, il Corriere della Sera ha preso delle vignette dal web senza il consenso degli autori per pubblicarle in un suo libro intitolato, appunto, “Je Suis Charlie”.
Un instant book a 4,90€ (più il prezzo del quotidiano) pieno di vignette sottratte dai siti e profili social degli autori (in qualche caso persino editi dalla stessa Rizzoli Lizard) senza alcun avviso.
Alcuni disegnatori hanno chiamato gli avvocati, altri hanno denunciato l’abuso sui loro siti con nuove vignette e post, lanciando l’hashtag #corrieresciacallo con un impatto impensabile persino per i vignettisti stessi, protagonisti di una piccola storia sulle brutte maniere del bullo che ruba le matite. Il bullo, a sorpresa, si è trovato tutta una classe che gli urlava contro.
A quel punto il Corriere ha aggiornato il pezzo online che presentava “Je Suis Charlie – Matite in difesa della libertà di stampa” chiarendo che il quotidiano non ci guadagnava niente, che i diritti erano salvi e ammettendo che “alcuni” autori non erano stati avvertiti “perché non c’era tempo”. Se erano così pochi, sono riusciti a dare tutt’altra impressione, a giudicare dalla reazione del Corriere online e dal trafiletto cartaceo di venerdì con le spiegazioni e l’ammenda del direttore De Bortoli.
Non le definisco “scuse” per rispetto agli autori coinvolti. È nel diritto d’autore anche decidere come e con chi fare beneficenza. Il Corriere ammette – solo dopo le proteste – di aver sbagliato facendo del bene (senza dubbio, e anche all’immagine del Corriere) e a credere che bastasse il disclaimer “a pagina 4” del libro che aveva fretta di far uscire. Quindi il Corriere ha pubblicato materiale che stava già sul web alla portata di tutti, e il direttore aveva già chiesto scusa. Deve esser costato parecchio non chiudere il trafiletto con un “cosa volevate di più?”.
Viene da pensare anche peggio leggendo il tweet della responsabile marketing di via Solferino
secondo il quale chi copia e incolla articoli sul suo blog è uguale all’editore che stampa un libro con il proprio marchio sopra a contenuti inediti, attuali, professionistici e a costo zero – salvo imprevisti – che potrà rivendere (o rieditare), e ristampare. Lo stesso giorno in cui il Corsera era protagonista di questo scivolone, il Fatto Quotidiano, unico in Italia, era in edicola abbinato a Charlie Hebdo, totalizzando un volume di vendite fantastico secondo il direttore Padellaro, che ha promesso parte del ricavato in beneficenza. Quindi, a esser sospettosi, forse in via Solferino avevano fretta di pubblicare, senza poter aspettare i consensi, per sfruttare l’onda emotiva della notizia (scusa cinica per calpestare i diritti di gente che fa il medesimo lavoro di alcune delle 17 vittime che commemori) o perché si sapeva da qualche giorno che il Fatto avrebbe calato l’asso, cioè la copia realizzata dai superstiti della strage e con vignette dei defunti.
Per fare meglio, senza pubblicare Charlie Hebdo, serviva un’idea: l’antologia delle vignette commemorative è una gran bella idea, che forse avrebbe avuto bisogno di più tempo (o di più gente a telefonare, oltre che a scegliere le vignette meno scottanti).