Allevare un lattante, per un padre, è come trovarsi in mezzo al pogo in una discoteca riservata ai lottatori sumo. Per una madre è come trovarsi in mezzo al pogo in una discoteca riservata a lottatori sumo nel momento in cui mettono «Chop Suey».
Panorama affettivo
Ogni tanto, cercando su internet informazioni sui sondini pediatrici, t’imbatti in una riproduzione di una maternità rinascimentale. Madre opulenta e bimbo paffutello che si guardano felici. Prima di riprodurti ti chiedevi se il segreto della forza di quel corrisposto sorriso fosse l’olio o la tempera. Adesso ti chiedi: «Tiralatte o Nidina 1?». La risposta è che a quei tempi il bambino mangiava merda di condor, ma che non era grave perché una madre felice fa un colostro che se lo spargi su Catanzaro, il giorno dopo sembra Firenze ai tempi di Assassin’s Creed.
L’altro segreto di felicità delle madri di un tempo era la società patriarcale. Un grande casale, quaranta parenti: la madre – dispensata dal lavoro dei campi e dalla frusta del marito – poteva concentrarsi esclusivamente sull’allattamento, che le sembrava una vacanza d’amore. Il bambino cresceva rilassato e felice. Si sviluppava in fretta e, appena gattonava, gli si poteva già legare un aratro.
Nella famiglia mononucleare occidentale invece non ti aiuta nessuno. Se sei fortunato. Se sei sfortunato compaiono a sorpresa nuovi parenti: e non parlo di una richiesta d’amicizia su facebook, parlo del citofono. Stanno lì fuori, silenziosi e per ore, aspettando che il bambino si addormenti. A quel punto suonano. Sono anziani e hanno un pacco con un fiocco che contiene una tutina disegnata da Oscar Giannino. Ti si piazzano in casa e cominciano a raccontare storie su figli e nipoti recuperati in extremis dal loro buon senso conservatore mentre gattonavano verso una dose di eroina lasciata lì da una madre moderna. Ti dicono che loro i bambini sanno rassicurarli solo con lo sguardo. Prendono in braccio il tuo, lui fa la solita cover di Burzum e ne derivano che è un bambino nervoso. Allora lo prendi in braccio tu; lui si addormenta sorridente e dicono che come tutti i bambini nervosi è letargico.
Letargia
A sentir gli astronomi, ogni settantacinque anni il bambino si addormenta: complici la culla, il ciuccio – che hai nascosto in soffitta durante l’ultimo raid delle ostetriche di Potere Operaio – e il rumore di un phon che hai microfonato e attaccato al tuo muro di Marshall. A quel punto ti viene il terrore che sia letargico. Fino a cinque minuti prima sembrava Marco Milano, ma adesso? E se avesse un disagio neurologico? Prendi il termometro ad infrarossi, glielo punti sulla tempia. “Error”: meno male, è la sua solita temperatura. Nel frattempo l’hai svegliato.
Il lattante impiega molto tempo per adattarsi al ciclo circadiano.Ci arriva all’incirca quando fa il primo figlio, cosicché questi glielo possa demolire. Cercare di addormentarlo è una cosa che somiglia molto alla scena delle sfingi della Storia Infinita, per chi se la ricorda. Tu sei Atreyu, lui è la sfinge. Sei lì, gli fissi gli occhi terrorizzato e se cominciano a socchiudersi devi trasmettere alla culla una vibrazione sufficiente perché il legno sviluppi un Do diesis. Se il tuo cuore è puro, il bimbo si riaddormenta. Se in te c’è anche solo l’ombra della paura che si svegli, spalancherà improvvisamente gli occhi e da quelli lancerà un dardo laser sulla tua giornata.
Allora lo prendi in braccio, cantandogli l’Alligalli. Nel mio caso so che quando arrivo alla strofa “Se prima eravamo 4.389 a ballare l’Alligalli, adesso siamo 4.390 a ballare l’Alligalli” sono a buon punto: devo solo tornare indietro fino a 0 e lui si sarà addormentato. Mi si sarà addormentato addosso.
Volevo solo che mi dormissi addosso
Parliamoci chiaro. Il bosone che ha progettato il look del sonno dei poppanti è davvero un signor bosone. La capoccia del ragazzo sa di saila menta (la parte bianca), se la aggiusta continuamente sul tuo petto, ha la pelle liscia come ghiaccio e tiepida come latte e miele. È una roba che ridefinisce completamente il concetto di felicità. Siamo sopra la citofonata del runner con la pizza, sopra la coscienza che anche Cicchitto ne sta aspettando una e non gli è arrivata perché l’hanno portata a te; sopra il primo bacio, perfino sopra il momento in cui capisci che presto lo racconterai agli amici.
Siamo in cima, nell’antico monastero buddhista sulla vetta. L’orrore e le fratture della storia fanno una pianura lontana, perfino bella se vista da lì. Egli è su di te, tutto tondeggiante, a complicare la verità su chi dei due stia effettivamente proteggendo l’altro. Già, e poi da cosa? Esiste forse in natura una forza capace di interrompere questo momento? Momento in senso fisico, dico: questa torsione che spinge tutto verso l’alto, verso una supernova d’amore?
È a quel punto che ti telefona tua madre.
(continua)