Caro Totò,

è passato così tanto tempo da quando mi hai parlato del tuo periodo ad Amsterdam. «Era il millenovecentosettantuno – mi dicevi mentre ti accendevi l’ennesima sigaretta -, l’Italia scaldava il piombo, scopriva l’eroina e io ero un ventenne schifiàto dal mio paese e smanioso di vedere il mondo».

Ma Amsterdam – l’Amsterdam che io credevo di trovare in quelle tue parole – non era presente nel tuo racconto: nessuna casa storta, nessun canale pieno di geometrie, nessun quadro di Vermeer. I tuoi aneddoti celebravano il modo in cui ti industriavi per sopravvivere, elencando i mille lavori svolti e i divani usati come letto; evocavano il sapore della birra fresca e la quiete di una bella canna fumata al caldo; ricordavano gli occhi dei tuoi innamorati, ragazzi poveri e spiantati come te tranne uno, un cinquantenne canadese ricco oltre ogni immaginazione e pure generoso, che per un po’, quando rientrasti in Italia, seguitò a spedirti buste con qualche soldo dentro.

Ricordi, Totò? Arrivato a questo passo del racconto mimavi l’apertura della prima lettera che ricevesti da lui e ripetevi sul volto lo stupore nello scoprire i soldi in valuta estera, poi mi guardavi e scoppiavi a ridere, e i tuoi occhi tornavano bambini, ed erano gemme incastonate tra le rughe del tuo viso da re shakespeariano.

Però, devo confessartelo, ci rimasi un po’ male quando, pieno d’entusiasmo, ti dissi che anche io mi sarei trasferito a vivere ad Amsterdam per un po’, grazie a una residenza per scrittori, e tu mi rispondesti soltanto: «Poi mi cùnti come sono le foglie, Davidù».

Ancora non potevo capirlo, Totò, non prestavo la dovuta attenzione a certi aspetti del mondo, tu eri ancora vivo, il tumore era stato appena scoperto e già allora non ero pronto all’idea che tu potessi morire per davvero. Non lo sono neppure oggi, se è per questo. Ogni volta che ripenso a te, mi viene ancora da piangere. Iniziai a incalzarti con domande continue perché avevo elaborato un piano infallibile: «Dove hai alloggiato? C’è una strada, una piazza, un canale, un coffee shop che ricordi più di altri? Magari esiste ancora e io ci vado e quando torno ne parliamo assieme». Volevo conoscere la tua geografia personale, Totò, luoghi da fotografare per poi mostrarteli al ritorno. Credevo fosse un bel piano, ero convinto che avrebbe funzionato, «Guarda qui è cambiato tutto! Talé qua, è uguale ad allora», magari avrebbe alleviato il tuo male.

Però la vita non segue i piani geniali e decide il proprio corso in piena autonomia e in modo imperscrutabile. Qualcosa è stata più veloce del calendario, io non ce l’ho fatta a mostrarti le foto e tu te ne sei andato prima che io partissi. Ecco perché adesso mi trovo a Westerpark, Totò. Scommetto che ci sei stato pure tu, è quel parco lungo, ricordi?

Oggi ci sono persone in bicicletta, ragazzi che prendono il sole, anziani che passeggiano, gente che pratica yoga, bambini che giocano e un equilibrista che ricerca il senso della vita stando in piedi su un filo. Disseminati ovunque, gli alberi. Hanno tronchi robusti eppure non troppo grossi, riesco a toccarmi le mani quando li abbraccio. Le cortecce sono marroni e verdi perché percorse dal muschio e, su rami giovani e spavaldi, le foglie stanno mutando colore.

Me ne sto accorgendo solo adesso, Totò: io mi sono sbagliato sempre quando penso all’autunno, non è affatto una stagione grigia ma è una sinfonia di colori che si stemperano l’uno nell’altro, in armonia. Il verde, l’azzurro, il giallo, il marrone, il rosso, in tutte le gradazioni, e il cielo che alterna bianco e azzurro, e le mille luci della città che riluccicano sull’acqua e sui vetri. Nessuna stagione possiede tanti colori quanto l’autunno. E le foglie, Totò, queste foglie di Amsterdam sono gialle, sono verdi, sono rosse, e tremano al vento e danzano per tutti, per l’equilibrista e per i bambini, per i cani che trottano e per me, per gli anziani e per i tuoi occhi nel millenovecentosettantuno, quando avevi ancora ventanni e la tua barba non era bianca. E sarebbe bello tornare anche solo per portarti una foglia raccolta qui, rideremmo assieme perché tu avresti sconfitto il cancro e io mi sentirei meglio.

E invece no, questo autunno carico di colori finirà e arriverà l’inverno e ci sarà la pioggia e il freddo, e io ho semplicemente tanta paura perché l’unico verbo che potrò usare riferendomi a te sarà al passato, però qui davanti a me le foglie vibrano nel vento, e adesso conosco la risposta e, lo sai amico mio?, è uno splendido ottobre qui ad Amsterdam, i ragazzi continuano ad amarsi, la birra è sempre fresca, le case restano storte e le foglie, Totò, le foglie sono gialle, sono verdi, sono rosse e sono bellissime.