«It’s not always the way it is in plays.
Not all faggots bump themselves off at the end of the story!»
(The boys in the band)
Cari cattomofobi,
non avete capito nulla della spuntata legge contro l’omofobia.
Potrete continuare a chiamarci finocchi, nessuno ve lo potrà impedire: non si può impedire a un gay di essere gay, figuriamoci a una testa di cazzo di essere tale. Culturalmente avete già vinto.
I gay, ma vi diranno che è un codice interno, si denigrano allo stesso modo (passiva, frociona, nomi declinati al femminile), in un sarcasmo fintamente ilare rivolto a se stessi, figlioccio di una cultura macho-fascista dominante.
I gay scendono in piazza chiedendo matrimonio e figli, come voi nel corso dei Family day presenziati da politici dalla dubbia morale. Siete voi che li avete educati così, sono i vostri figli e fratelli.
Potrete continuare a ribadire che i gay ascoltano musica di merda, e nessuno vi criticherà per questo.
Potrete continuare a fare battute sugli osceni discorsi e pratiche di Mario Mieli, vi darò persino ragione.
Potrete continuare a ridere degli eccessi di alcuni esibiti con spirito liberatorio (mentre a occhi altrui appaiono circensi), d’altra parte se uno si presta a essere ridicolizzato, se indossa un vestito stereotipato fatto di un linguaggio e atteggiamenti già cuciti e pronti dagli anni in cui definirsi frocio era una rivendicazione politica, prima di diventare anche culturale (come se la cultura gay non fosse appropriazione indebita, furto alla collettività o delitto artistico) poi non ha il diritto di lamentarsi se gli si fa notare “ma sei davvero così o hai sempre pensato di dover essere così? Te lo sei mai chiesto?”.
Potrete criticare un transessuale buddista che prende la comunione a un funerale, ho riso pure io per l’assurdità del gesto, io per l’aspetto collaborazionista, voi per l’aspetto catechetico.
Vi incoraggio a essere più duri, a sbattere gli omosessuali non casti fuori dalle chiese, a lavar loro la bocca quando citano il Papa, a denigrare i confusi che vogliono piegare una religione ai loro usi e costumi: che ne fondino una loro, che in tempi di crisi è sempre un modo per prosciugare i portafogli altrui.
Vi invito a essere ostinati nel differenziarvi, guardiamoci da lontano: fatevi gli affari vostri e ci faremo di più i nostri.
Ma capisco che l’invasione pretenziosa del campo semantico del matrimonio offra il nostro fianco a critiche stucchevoli, tra cui quella di volervi rubare i figli: teneteveli pure, e per quelli che li hanno già, non sono del tutto convinto che crescere in una famiglia bigotta sia meno sfavorevole alla produzione di disagiati.
E potrete continuare a offenderci, ché comunque siamo tutti il negro di qualcun altro, ma nella vita s’apprende che c’è di peggio e quando cresciamo andiamo in palestra, ci facciamo i muscoli e, se ci salta la mosca al naso, non scommetterei à la Pascal sul fatto che possiate passarla liscia (tranne quando vi avventate contro di noi in cinque come dei conigli impotenti).
Certo, preferirei che l’uso di frocio come aggettivo denigratorio venisse abbandonato, ci riduce ai nostri orifizi, ma prima dovremmo cominciare noi a ripulire il nostro linguaggio, mediato dal vostro quasi con vanto e sprezzo, non rendendoci conto che facciamo il vostro gioco.
È vero che me ne sono sempre fottuto e vi ho guardato come si guardano dei meschini ignoranti, ma non tutti hanno il carattere giusto e quella all’intimità è la pugnalata più feroce.
D’altra parte adorate una persona crocifissa: contro quel termine di paragone ogni dolore per voi è futile, non lo capirete mai.
Quello che invece non dovete fare, ed è per questo che serve una legge seria contro l’omofobia come quelle già emanate in tutto il mondo civilizzato, è discriminarci.
Discriminare non è insultare, significa che non potete sbatterci fuori di casa, non ammetterci in una squadra sportiva, non farci entrare in un hotel o in un locale, licenziarci o non assumerci, massacrarci psicologicamente, costringerci a sottoporci a inesistenti e surreali cure psicologiche (e toglierei la patria potestà a certi genitori dementi).
Inoltre una legge contro l’omofobia è un primo, timido passo culturale: affermare che discriminare un omosessuale è reato, introdurre il ribaltamento di un’attitudine mentale.
Non cesseranno le violenze, fisiche e non, non oggi, non domani, ma è una mossa rivolta prospetticamente verso le nuove generazioni che cresceranno in un paese in cui puoi pure provare ribrezzo per chi ascolta Lady Gaga, ma questo non ti autorizza a trattarlo come cittadino di serie B o un animale: perché è reato.
E lo so che questo principio ad alcuni di voi fa rodere il culo, ma fatevene una ragione: potete odiarci, ma non potete discriminarci. O dovrete pagare per farlo, come paga un criminale.
Potrete ancora pensare che siamo un abominio (io lo penso di voi. E quindi?), ma siamo parte integrante della società, non siete mai riusciti a eliminarci nemmeno con la repressione, perché a 40 anni ci siamo ritrovati follemente erranti nei cruising a recuperare il tempo perduto, magari con un paio di pargoli cui dare l’assegno di mantenimento.
Smettetela di rompere i coglioni: per le strade avrete meno infelici, meno repressi, nessuna lobby gay, al massimo una volta all’anno ci sarà qualcuno che farà baldoria, ma allora sarà solo più folklore.
Voi avrete ancora le vostre famiglie (per lo meno quelle da cui non avete ancora divorziato), i vostri figli (e alcuni di loro sono gay), i vostri mariti (a volte al 50%, ed è sempre colpa vostra), le vostre mogli, i vostri rituali.
Io con voi non voglio aver nulla a che fare se non in modo incidentale, voi smettete di sbraitare lungo la mia strada: fate un passo di lato.
Anche senza spalle al muro: quelle, grazie a voi, ce le abbiamo noi da una vita.
Ed è come praticare il rimming a un pupazzo di neve.