Non fare in Rete quello che non faresti fuori dalla Rete.
(Confucio)

Le antiche pergamene elettroniche narrano di un’epoca che fu, perduta nelle nebbie del tempo e della musica dark – gli anni ’80 – in cui Internet, universo virtuale nato dal big bang tra l’elaboratore elettronico e il telefono, era popolata da semidei, creature metà uomo e metà laurea in Scienze dell’Informazione, dotate di intelligenza senza pari e innovativa preparazione tecnica, sebbene socialmente deprecabili.

Se vuoi prendere un pesce usa la canna. Ma se vuoi prendere un mare di boccaloni, usa la rete.
(Lao Tzu)

In quell’età del rame intrecciato e protetto da una guaina di PVC si aggiravano pionieri occhialuti che parlavano una lingua segreta fatta di 0 e di 1. Il mondo telematico era giovane, e fra un bit e l’altro c’era tempo per una o due pause caffè e sigaretta, che però nessuno faceva, perché erano tutti lì incollati ai terminali a fosfori verdi, in attesa, in caso passasse Tron, o comparisse la scritta “Salve professor Falken”. L’informazione iniziò a fluire, e la stirpe semidivina si ritirò oltre i firewall, lasciando il campo ai fanatici di elettronica.

Dai un calcolatore a un uomo ed egli calcolerà.
Dagli la patente europea del computer ed egli giocherà a Campo minato.

(Sai Baba)

E venne il giorno. All’alba degli anni ’90, nell’ultimo dei paesi dove c’è da aspettarsi che succeda qualcosa di minimamente interessante, cioè in Svizzera, un novello Prometeo sottrasse agli dei le Sei Grandi Vu, gemme ultraterrene che emanavano link, ipertesti e interfacce grafiche. La leggenda narra che, per portare in gran segreto i gioielli fuori dall’antro del Cern, il Tim (o la Tim, dipende dai canoni) le chiuse in uno zaino così piccolo che le Vu si fusero due a due, dando vita alle Tre Sacre Doppia Vu, dette oggi WWW. Così fu il Web.

Libero.it è un sito.
Tutti i siti sono portali.
Libero.it è un portale.

(Aristotele)

Il grido metallico dei modem risuonò profondo in ogni dove e una nuova generazione di intelligenti disadattati sfidò le reti-voce scagliandoci contro i propri bit di parità, affinché si convertissero in reti-dati. Il doppino telefonico divenne l’animale domestico più ambito, e nessun sito fu mai più archeologico. Nacquero la piazze virtuali, ma da quelle reali scomparvero in pochi, un’élite fanatica e tecnologica che poteva finalmente dare sfogo alla propria asocialità sfruttando la socialità a distanza. Fu Netscape. Fu Altavista. E i kilobyte passarono.

Se mandi questa mail a 10 amici riceverai a casa un telefono Nokia gratuitamente.
(Sant’Antonio)

Le sigle smisero di essere quelle dei programmi TV e divennero il pane quotidiano degli interconnessi. ISDN, ADSL, FTP, HTTP, ICQ. Poi arrivarono i Gazosa con WWW mi piaci tu, e le sigle divennero canzoni. La confusione regnava grande, gli internauti crebbero e a un certo punto nacque il blog. Prima scrigno pubblico dei cazzi propri, poi prodotto editoriale tematico, tutti quelli che scrivevano – quindi tutti – smisero di farlo su carta rivolgendosi a pochi intimi e iniziarono a farlo sul Web rivolgendosi a pochi intimi. La blogosfera si espanse nello spaziotempo digitale, e pochi valorosi e fortunati vinsero la sfida, diventando nodi gravitazionali della Rete. Un’oligarchia illuminata con sudditi e lettori luminosi regnò. Molti blogger divennero puro spirito, assorbiti dalle galassie dei grandi gruppi editoriali. Un’epoca di pace e equilibrio attraversò la Rete. Ma qualcosa di tetro stava prendendo forma nell’oscurità. Il terremoto delle tariffe flat scosse il mondo, le porte dei router furono spalancate, e una massa anonima e informe, attraverso mouse e tastiere, iniziò a permeare il virtuale. Gli spazi reali si svuotarono, mentre quelli digitali tremavano, perché l’orda, sparsa in mille forum e chat e gruppi di discussione, attendeva solo che qualcuno o qualcosa indicasse il luogo della battaglia finale, l’Armageddon.

E tu saprai che il mio nome è proprio quello lì quando farò calare la mia vendetta sopra di te, su Facebook.
(Ezechiele)

Il social network fu. L’incubo distopico per eccellenza. Il sogno di troll, fake e mutaforma. E di ogni ufficio marketing di ogni multinazionale. Il luogo virtuale definitivo dove tutti si fanno i cazzi di tutti mettendo volontariamente i propri a disposizione, nome e cognome compresi. La perfezione sgrammaticata della statusfera. La ricerca di apprezzamento innalzata al di sopra di ossessione e patologia e fatta religione: il likeismo. Tutto è biografico, tutto è vero quantitativamente, tutto è lecito. La Terra è piatta, se la fanpage “La Terra è piatta” ha abbastanza like. Tutto è in discussione, anche la logica elementare, anche l’esistenza stessa del proprio profilo. Il tripudio della metafisica 2.0. Commenti ironici, commenti sarcastici, commenti caustici, insulti, minacce psichiche, minacce fisiche, minacce di sterminio fino al sesto grado parentelare e come apoteosi la minaccia assoluta: la cancellazione dagli amici. Qualcuno ha aperto i recinti della realtà e tutti sono scappati nel virtuale, cadendo nella Rete. Il popolo della Rete non è nient’altro che il popolo puro e semplice che ha imparato ad accendere il computer. Uno sforzo da 0.3 punti di quoziente intellettivo, l’indice opponibile per cliccare sul mouse o comporre il numero dell’amico che ne sa di computer, se qualcosa non va. L’ultimo passettino compiuto dalla specie Homo. La società dell’informazione. Speriamo nel prossimo aggiornamento.