Daniel Velasquez Adriano Castillon de la Mancha Asprilla era un ragazzo di origini colombiane di 12 anni. Non aveva amici perché tutti i suoi coetanei maschi lo disprezzavano e lo schifavano al punto che nel paese era conosciuto con il nomignolo di “Luis Enrique”. Anche le bambine lo evitavano e non gli scrivevano mai quei bigliettini d’amore tipo “vorrei farti i succhiotti come fanno mamma e papà, ai vicini, quando uno dei due è fuori per lavoro”.
Soprattutto, tutti lo schifavano perché era l’unico del paese a non saper pescare.
Un giorno, dopo essere stato insultato per un paio di ore buone, decise di farla finita e corse verso gli scogli per suicidarsi. Lì, incontrò un vecchio signore cinese, emigrato appena sei mesi prima. Il vecchio intuì di essere osservato, ma prima di voltarsi verso il ragazzo, attese che il sole, ancora alto in cielo, si abbassasse sulla linea dell’orizzonte. A quel punto disse al ragazzo: “Bravo! Hai avuto pazienza, e per questo io t’insegnerò a pescare”.
Daniel Velasquez Adriano ecc., per l’emozione, da principio non diede retta alle parole del vecchio, ma quando capì che l’alternativa era comunque migliore al suicidio, accettò. Il cinese, come prima cosa, decise di raccontargli tutta la sua vita.
Veniva da una provincia a circa 6.000 km da Pechino. I suoi genitori erano degli elettrauto: producevano iPhone per 2 dollari al giorno. Lui, allora, decise che la vita da pescatore era molto più rilassante e proficua, così, a 15 anni, si trasferì in Giappone, dove un monaco sordo gli insegnò tutti i trucchi della pesca, tra cui, la tecnica della pesca coi piedi. Un giorno, però, mentre si stava dilettando con questa nuova tecnica, un collega si prese gioco di lui. Il cinese, incazzato, gli diede appuntamento per la sera stessa al molo, dove era pronto ad ucciderlo, ma quello non si fece mai vivo. Così, per salvare l’onore, dovette emigrare fin qui.
Daniel Velasquez Adriano ecc. lo guardò piuttosto interdetto, ma la curiosità lo divorava e così chiese: “Mi prendi per il culo?”
Cinese: “Ai”
D. V. A. ecc.: “Vuoi per caso che ti stampi un calcio tra le palle?”
Cinese: “Prima cosa, tuo nome. Troppo lungo”
D. V. A. ecc.: “Puoi chiamarmi Luis Enrique”
Cinese (grattandosi): “Di’ ancora quel nome e t’abbuffo ‘e mazzatt’. Da oggi tu sarai solo Daniel. Daniel San”.
Detto ciò e dato che si era fatto buio, il cinese gli diede appuntamento direttamente per il giorno dopo, in spiaggia, alle 6 del mattino.
Daniel San arrivò puntuale, il cinese 3 ore dopo. Piuttosto incazzato, Daniel San lo stava già per ricoprire d’insulti, quando il maestro disse “Pazienza è prima dote di bravo pescatore”. Poi gli diede appuntamento per il giorno dopo, alla stessa ora e se ne andò.
Daniel San, il giorno dopo, arrivò direttamente alle 9, ma il cinese era già lì e quando lo vide, prima lo insultò e poi gli disse: “Puntualità è seconda dote di bravo pescatore”.
Il giorno dopo, nessuno si fece vivo in spiaggia, ma si trovarono, casualmente, al baretto della piazza. Il cinese stava facendo colazione con riso e cornetti alla crema. Daniel San con cappuccino e pizza rossa, e quando ebbe finito chiese: “Maestro, dopo 3 giorni non ho ancora imparato una ceppa. Come la mettiamo?”
Maestro: “Daniel San. Per imparare la tecnica dei piedi che pescano, per prima cosa, devi imparare a mangiare riso con le bacchette”.
Daniel San, allora, prese le bacchette in mano ma il cinese s’incazzò subito: “No no no no. Bacchette vanno tenute con piedi. Bacchetta sinistra, piede sinistro e bacchetta destra, piede destro”.
Daniel San: “Maestro, come distinguo la bacchetta sinistra da quella destra”
Cinese: “Segui tuo cuore”.
Poi gli lasciò la ciotola colma di riso e se ne andò.
Daniel San, per finire quella ciotola, impiegò 9 anni, e quando tornò dal maestro per fargli vedere i suoi progressi, il maestro era già morto da almeno due.
A quel punto, Daniel San decise di tornare in Colombia. Dai nonni trafficanti.