Il dado è tratto.
Gli Avengers dell’antifascismo sono in azione e oggi ogni avamposto democratico è strettamente presidiato dal sopraggiungere dell’orda barbarica.
Ora posso tirare un sospiro di sollievo, in attesa del prossimo articolo paraculo sul Foibe Day all’insegna del “Sì, i fasci hanno sbagliato, ma anche gli altri, eh!” e altre perle di questo illuminismo in versione discount.
Il problema è che tutto questo bailamme mi mette a disagio.
Il mio antifascismo è prettamente egoista. Io non voglio vivere sorvegliata in una società poliziesca in cui qualche guardiano della rivoluzione scuote la testa di fronte all’infimo livello di zerbinaggio dei miei flirt online. Poi magari quei bastardi si mettono pure a leggere i miei messaggi bimbominchia nel campo di concentramento in cui verrò reclusa. Che figura ci faccio con le mie compagne di camera a gas?
Detto questo, anche la democrazia mi ha stancato, e anche questo galateo settecentesco chiamato diritti umani.
Non è scarsa voglia di dibattito, è che le petunie vengono su meglio se le concimo con le spoglie mortali degli elettori di +Europa.
Dopo lunghi tormenti interiori, sono giunta alla conclusione che il fascismo non mi piace. A meno che l’orrenda e sanguinaria tiranna non sia io.
Da allora ho scoperto qual è il vero sogno che si cela nel mio cuore e farò di tutto per realizzarlo: io non voglio il Duce, io voglio essere il Duce.
In fondo il fascismo è come il sesso: è questione di posizione. A quasi tutti piace stare sotto, io invece voglio stare sopra. Io voglio cavalcare a briglie sciolte nelle immense praterie della mia perversione mentale. Io voglio che qualsiasi mia frustrazione o motivo per mettere a busta paga un analista non siano più crucci interiori, ma i punti del mio personale libretto rosso delle idee.
Avete presente Serena Joy, la moglie bionda e psicopatica di Waterford in The Handmaid’s Tale? Ecco, il mio modello è lei.
Stufa di partecipare ai baby shower delle sue amiche mentre lei rimaneva a bocca asciutta, che si inventa per l’esubero di rosicamento? Decide di creare un’ideologia per cui le donne fertili devono essere violentate da suo marito e dai suoi amici ricchi, in modo da costringerle a fare una vagonata di bambini. Ora, stronzette, chiedetele ancora “Ma voi due ancora niente?“.
Personalmente ho scelto il cambiamento climatico come viatico del mio regno del terrore. Il crollo della civiltà umana è imminente grazie alla catastrofe ambientale. Non ho certo intenzione che qualche multinazionale ricavi delle gallette proteiche verdi dal mio cadavere per poi farmi finire nella base di qualche cheesecake cotta e mangiata da Benedetta Parodi.
Io nel caos voglio prosperare.
D’altronde, come la storia ci insegna, non ci vuole chissà che per far sbarellare una società e consegnarla tra le spire di un totalitarismo, basta solo una crisi.
Immaginate di vivere in un mondo dove il cibo sia impossibile da trovare, o in cui non nascono più bambini, o dove esistono soltanto hit in spagnolo. Cosa rimarrebbe della civilizzazione innanzi a simili minacce?
In previsione del disastro incombente, la base su cui voglio rendere imperituro il mio potere è appropriarmi di qualche risorsa naturale senza la quale sia impossibile vivere. In base alle mie priorità dovrei trovare una fonte naturale di sigarette o Netflix, ma credo andrà benissimo anche una semplice falda acquifera. In questo modo tutti verrebbero da me a supplicare un modo per sopravvivere e, giunti a quel punto, poi sarebbe solo una questione di fantasia.
Vedo quindi piramidi alte settecento metri tirate su in mio onore da tutti i fissati della storia su Instagram a fine serata, pure se sei cessa col botto quella sera.
Sul mio trono post-apocalittico fatto di tazze di Starbucks e resti di commesse di Zara, io mi diletterò a vedere schiavizzati i colleghi che aprono la finestra in ufficio pure con venti gradi sotto zero, perché “Cinque minuti l’aria è un po’ viziata qua dentro“.
Il mio monumento in oro massiccio e lapislazzuli sarà lucidato ogni giorno con la lingua dai trentenni sottoccupati che condividono le interviste di Alberto Forchielli.
Nessuno chiederà più cosa fare a Capodanno, perché quel giorno sarà il mio personale Natale, e tutta l’umanità sarà costretta a organizzare un party divertente ma non eccessivo in mio onore, pena la deportazione in un call center a prendere le chiamate del Black Friday.
Ma adesso è tardi, questo è ancora un diario dei sogni, e io devo andare ora a dormire.
Domani è un altro giorno di lavoro.
Almeno per ora…