Un giorno, all’alba, un giovane allievo andò a trovare Socrate portando con sé, in dono, una cesta di uova e una gallina. Socrate fece entrare il giovane, lo invitò ad accomodarsi, poi lo guardò e gli disse: «Oggi ti insegnerò due cose». Prese un uovo dalla cesta, lo osservò per qualche istante, quindi lo scagliò con grande violenza sul muro di fronte. L’uovo si spiattellò sulla parete, lanciando schizzi sul pavimento e in ogni dove. Socrate prese quindi un altro uovo dalla cesta, lo osservò per qualche istante, quindi scagliò anch’esso con grande violenza sul muro di fronte. L’uovo si spiattellò sulla parete, lanciando schizzi sul pavimento e in ogni dove. Dopo aver ripetuto lo stesso gesto per 15 volte (tante erano le uova), Socrate prese la gallina dalla cesta, la osservò per qualche istante, quindi la scagliò con grande violenza sul muro di fronte. La gallina si spiattellò sulla parete, poi si risollevò stordita e claudicante e fuggì barcollando sulle zampe. «Cosa hai tratto dal mio insegnamento, figliolo?», chiese allora Socrate al giovane. Questi, titubante, balbettò qualcosa del tipo «Cosa… ho tratto… uhm… dal tuo insegnamento… Maestro?». Socrate gli accarezzò la nuca, poi rispose: «Oggi hai imparato due grandi verità. La prima è che il muro, metafora della mia pazienza, è più forte dell’uovo e della gallina. La seconda è che non ha alcuna importanza che tu sia uovo, gallina o allievo, se vai a rompere i coglioni a Socrate alle 6 del mattino.».

La violenza è sempre stata parte dell’animo umano, pertanto non può essere condannata. Se ci pensate bene, la cattiveria fine a sé stessa non esiste, poiché tutto è il risultato di una semplice negazione dell’altro. «Ti voglio bene, amico, ma il tuo grande problema è che, purtroppo per te, tu non sei me». Nella repubblica ideale, Platone suggeriva di mettere al bando i poeti, in quanto la loro capacità di creare descrizioni esteticamente piacevoli dei comportamenti immorali avrebbe potuto corrompere la mente dei giovani. “La poesia tragica è un pericolo per lo spirito e per la comunità, poiché provoca e alimenta i disturbi psichici, o un generale stato patologico”. Ma tutti sanno che il pensiero di Platone era condizionato da due grandi disgrazie: aveva letto il libro di Sandro Bondi e subito dopo era andato a trovare Socrate, all’alba.

Il Male è all’interno di ognuno di noi. Io stesso ne ingoiai una copia, dopo aver letto una roba di Vincino. E temo di essere stato emulato anche da Hieronymus Bosch, noto pittore olandese vissuto a cavallo del XV secolo, che era solito dipingere demoni -figure per metà animali e per metà saretommasi- al solo scopo di mostrare il lato diabolico dell’uomo. Questo prima di scendere dal cavallo e di mettersi a vendere lampadine. Anche Mathis Gothart-Neithart, artista conosciuto con il nome di Matthias Grünewald per gli amici Mat, si dedicava con dedizione alla resa visiva della sofferenza, dipingendo torture, agonie, omicidi, ferite sanguinolente ed alcune dichiarazioni dei redditi di Briatore. È da queste grandi menti del passato che ho tratto l’ispirazione per costruire le fondamenta della mia personalissima idea di non-violenza. Il concetto è semplice e lineare: “chi è favorevole alla violenza verrà picchiato”.

«Non si può fare una rivoluzione portando i guanti di seta», disse Stalin. Giusto, ma allora rinuncia anche alla borsetta e al tacco 12.
Nel 1651 Hobbes affermò che l’essere umano è per natura “conatus”: sforzo, tendenza, appetito e repulsione. Ma nessuno diede importanza alle parole di quella che rimase per sempre “la stupida tigre di pezza di Calvin”.
«Ogni uomo, in quanto essere razionale, è un essere libero e responsabile delle proprie scelte», disse Immanuel Kant. Poi però contrasse matrimonio. «Ogni uomo, in quanto essere razionale, è un essere libero e responsabile delle proprie scelte», ribadì qualche anno dopo, quando ormai l’Alzheimer aveva preso il sopravvento.
Di diverso avviso, Friedrich Nietzsche: «I filosofi mancano di senso critico ed accettano la morale passivamente», affermò nel suo “Al di là del bene e del male”. L’opinione pubblica reagì immediatamente e la sua opera fu prima bandita e poi condannata ad una pena esemplare per quei tempi: diventare un film di Liliana Cavani.

Ma proprio non me la sento di concludere questa disamina senza citare colui che disse «Guarda nella tua anima» e no, la domanda non era «Hai mica visto i miei calzini?». Avrete certamente capito (ma anche no) che sto parlando di Sant’Agostino. «Non è Dio la causa del male», teorizzò il santo sventolando gaudente la fotografia di Borghezio. Del resto il “Doctor Gratiae” è mica uno qualunque. Al contrario, è stato definito il massimo pensatore cristiano del primo millennio, carriera iniziata con profitto con il celebre “furto delle pere” (conditio sine qua non per diventare santi nel 368). Proprio così, Sant’Agostino rubò delle pere. E probabilmente se le sparò tutte in vena, dato che passò l’intera gioventù alla ricerca del senso della vita e di uno spacciatore meno caro. «È tutta colpa del sessantotto» non fu ritenuta una giustificazione plausibile dal vescovo Ambrogio, il quale, tuttavia, fu costretto a capitolare a: «ok, la mia non era proprio fame chimica, ma più voglia di qualcosa di buono».

Di malattia, dolore, penitenza, strazio, frustrazione, infelicità, angoscia, turbamento, afflizione, morte e nuovo CD di Biagio Antonacci, parleremo la prossima volta.