Faccio il commesso con contratto a progetto e, pertanto, a lavoro mi tocca indossare questa faccia divisa: perplesso in viso, ma con occhi affilati di rabbia e una forca in mente. Mi tocca questa faccia, ma non mi spettano le ferie. E senza le ferie si prospetta una calda estate romana a pippe e gazzosa. E quando capita che non scopo, allora mi innervosisco. La vecchia tiene aperto il negozio a qualsiasi costo, da sempre. Lei non esiste più. Si è auto-inventariata una volta per sbaglio ed è diventata parte del negozio, che è e non può non essere. Ad agosto scorso il negozio mi risucchiò attirandomi con quel suo grande cartello giallo “cercasi commesso, anche senza esperienza, a contratto.” Nettare per i poveri. Ricordo l’insensato orgoglio di essere arrivato per primo, lo spermatozoo che si riconferma campione sulla distanza. Capii subito quale fosse il problema psichiatrico che affliggeva la mente inquieta della signora padrona, ma in qualità di scienziato politico non mi sembrò opportuno comunicarle la mia diagnosi. Sapevo bene che questo dettaglio sarebbe stato il seme che avrebbe poi fatto crescere una sequoia nel mio culo, ma amo rimandare. Niente è meglio di non fare un cazzo oggi, adesso. In un anno le ho pensate tutte, chiesto consigli agli amici, aperto forum di discussione, inviato lettere a “Chi”, “Donna moderna”, Maurizio Costanzo, a “Stranamore”, a “Forum” e a “I fatti vostri”. Nessuno si è appassionato alla mia causa. Non esiste alieno, finanziere, ufficiale giudiziario, pompiere, soldato, killer, black bloc, zombie, x-men o qualsiasi tipo di mostro hollywoodiano che possa chiudere questo negozio la settimana di ferragosto. Come ultimo gesto disperato, alla straziante ricerca di compatimento, ho mandato un SMS a Pino Scotto su Rock TV. Ho brevemente riassunto la mia storia e poi… e poi ho scritto che stavo piangendo e che le lacrime mi bagnavano le palle. Fazzoletti finiti, usati per abbracciarmi il cazzo. Mi ha risposto, in diretta.
– Eh eh caro il nostro amico di Roma, e che ti devo dire? Resisti, il metallo ti aiuterà!
Ho capito cosa intendevi Pino. Ogni giorno uguale all’altro, un eterno lunedì. E tutti i giorni torni a casa con l’ansia da domenica pomeriggio. Tutti tranne uno. Oggi. Tutti tranne uno. Me. Grazie Pino.
Presto a nanna, presto in piedi. Troppo presto. È dalle 4 che guardo Twin Peaks. Chi ha ucciso Laura Palmer? Non si sa. Molto bene. Il cineforum troppo mattutino mi ha vagamente sfigurato in volto, comunque sfoggio con disinvoltura un sorriso smagliato. La mia faccia si è decisa, oggi niente divisa. Braghette corte, maglietta zapatista e infradito. Però no, le infradito mi vanno scomode. Fanno tanto mare, ma anche tanto male. Risalgo a casa. Scarpe da ginnastica. Meglio. Riparto. Stavolta con passo ancora più sicuro, anche se sulle spalle già grava la responsabilità del mio gesto. Oggi chiederò le ferie, costi quel che costi. Anche non pagate. Procedo spedito, lo zaino vuoto non mi pesa. Dentro c’è solo coraggio e un coltello da pane. Ho fatto incidere la lama, c’è scritto “Pino”.
Piove sull’asfalto rovente e i marciapiedi ti fumano dritto nel naso. Catrame nei polmoni e dritto in testa. Eccitanti effluvi. Oggi ti chiudo il negozio per lutto.
Giungo. L’acqua scorre a rivoli sulla mia fronte spaziosa e affoga il pavimento che ripulirò. L’acqua diluirà il sangue. Buono, si fa prima a risciacquare. Ha la testa immersa nei campionari, pare che le sia necessario per respirare. Neanche mi guarda, mi percepisce.
– Ricordati di andare dalla signora Tarasi.
– Buongiorno.
– E vai fuori sul retro, impacchetta e copri i resi.
– Oggi è un buon giorno.
– E prendi l’ombrello che piove! Se bagni la merce, te la detraggo dallo stipendio.
Sono calmo.
– Va bene, certo signora.
Ti auguro la morte.
Prendo l’ombrello piccolo, i teli di plastica, i cartoni, lo scotch da pacchi e le forbici. Ancora Pino, ancora grazie. Se dovessi fallire mi taglierò il cazzo.
Un piede è già fuori, sul retro. L’altro per un attimo indugia sullo scalino di marmo reso viscido dalla pioggia acida romana. Quasi cado, e per recuperare il baricentro mollo l’ombrello e sposto il peso degli imballaggi su entrambe le braccia. L’ombrello non mi serve, non lo avrei comunque aperto, non piove già più. Penso solo alle ferie. Penso solo a scopare. Devo farlo per me stesso, sono il paladino dei miei diritti, il medico che curerà la malattia del quotidiano, lo scienziato politico che debellerà il virus della monotonia. Grazie Pino Scotto, ho capito, lo faccio. Il tempo di creare un apparente normalità e poi l’attirerò qui nel retro e allora sarà un attimo. Un solo colpo frontale alla gola, inferto senza ombra di grazia, con il coltello da pane di Pino. Il metallo mi salverà.
– Hei tu, faccia di merda, cosa ti avevo detto? Usa l’ombrello o tutta questa roba te la compri tu bello mio.
– No.
– No?
Si alza in piedi. Non l’avevo mai vista così, in piedi. Inspira profondamente e inizia lentamente ad alzare le braccia molli. Le vene varicose pulsano aritmicamente, esplodono i capillari. Scariche elettrostatiche. Nell’aria un turbinio di campionari, cataloghi ed espositori.
– Io…
– Io cosa?
Continua ad inspirare senza espirare mai. I capelli bianchi e turchini si alzano a raggiera per effetto dell’elettricità che scaturisce dalle sue mani.
– Io voglio le ferie.
Si scaraventa come un animale verso la porta sul retro. Non solo cammina, ma corre anche. Arriva velocissima, come se il negozio le desse una qualche propulsione. E scivola. Sull’ombrello piccolo. Tutto il corpo cerca tenta spasmodicamente di afferrare l’aria umida che scivola. Vuoto fra le dita. L’angolo di inclinazione è assolutamente perfetto. Il costoso marmo dell’umile scalino è perfettamente liscio, sublime ed elegante con le sue bianche striature calcaree. Tutto viene dall’acqua. Le mani si aprono e si chiudono, più volte, invano. Con un gesto ricambio il saluto. All’inferno.
La signora è a terra. Il suo cuore non batterà più.
Le sue mani ferme, per sempre.
Ricomincia a piovere, non devo neanche a risciacquare. I temporali d’agosto lavano via l’afa e per un po’ si respira meglio. L’afa tornerà più forte. Il negozio chiude per lutto. Sono libero. Libero di andare a scopare. Liberò fino a quando qualcuno non la sostituirà nel darmi ordini. La missione è comunque compiuta, il cazzo non me lo taglio e vado a Rimini e pure a Riccione. E poi a Milano, da Pino.