Lo chiamano Frappa. Ovunque lo chiamano Frappa, anche a casa sua. Addirittura gli anziani del suo palazzo, anche loro, lo chiamano Sig. Frappa. A casa sua non ci sono genitori di nessuno ed è piena di amici suoi che portano amici degli amici loro. Questa gente che conosce di sfuggita è la sua famiglia, e lo chiamano Frappa anche mentre li caccia a calci nel culo. Generalmente quelli un po’ più piazzati sono gli amici suoi più cari, sia in termini di cibo che di carta igienica. Fino al metro e sessanta sono gli amici abbordabili, sotto questa soglia sono amici decisamente a buon mercato, e generalmente muovono il Frappa ad una certa compassione. Il circo non chiude mai, le gabbie sono sempre aperte. Siamo troppi e troppo stretti in questa casa, e non apriamo mai le finestre per far uscire il fumo. Stiamo troppo a contatto e ci tocchiamo troppo, così ci vengono in mente le strane idee, che lui poi scrive. Il Frappa ci apre la porta di casa sua, e l’ultimo in piedi la richiude. Un inciso aperto e chiuso in faccia a tutta quella Roma che non siamo noi. Da quando è disoccupato il pranzo di tutti i giorni sembra tutti i giorni il pranzo fra parenti. Uno fa snorkeling nel frigo, l’altro vuole sapere se gli Illuminati sono rettiliani, e lo chiede a una che non risponde e continua a ripetere economia politica, mantenendo la posizione del loto. C’è chi disegna, chi suona e chi evidentemente è morto al cesso. Tutti insieme siamo tanti, troppi per un bagno solo. Al Frappa non piace aspettare, tanto meno a casa sua. Così si arrabbia e decreta a gran voce la nuova regola:
– Va bene mangiare tutti a casa mia, ma da domani andate tutti a cagare a casa vostra.
– Frappaaaa, è finita la carta al bagno!
– Appunto.
– Quindi?
– Usa Panorama.
– Troppo patinato.
– C’è Focus Storia.
– Non è una questione di contenuti, ma di carta. Non appiccica, come dire, non raspa. Spalma e basta.
– Hai già provato, vè?
– Già.
– …
– …
– Sapete ragazzi, so proprio stanco. E lo dico a tutti. A volte è come, boh. Vabbè.
– Dai zio, stai a fa il pesante.
– Tu intanto schioda dal mio cesso e fatti un cazzo di bidet. Ma non osare asciugarti con qualsiasi asciugamano tu riesca a trovare. E se ti asciughi con l’accappatoio me ne accorgo. Stronzo.
– E dai Frappa! Come cazzo faccio?
– Fatti il bidet a secco. C’è il bicarbonato.
(Mi chiamano Frappa, e casa mia è un circo a tre piste in sessantacinque metri quadri al Tufello. E sono molto stanco. Da cinque anni non dormo mai più di cinque ore a notte. Prendessi tanti pesci quanti ne vuole il detto, ora avrei una pescheria e non sarei disoccupato. Ho provato di tutto per addormentarmi. La fase camomilla, passiflora e melatonina l’ho saltata a piè pari. Sono partito direttamente dal Rohypnol, anche se poi l’ho sospeso subito. All’inizio non riuscivo a capire quelle foto su Facebook che ritraevano i miei amici in accappatoio e casco integrale, entrambi sorridenti accanto a due grosse chiappe. Una grossa chiappa per uno. Facce da culo che si improvvisavano astronauti, intenti nella conquista dell’orrenda luna pelosa. Al quarto risveglio con una bandierina americana in der posto ho deciso di cambiare psicofarmaco. E ne ho cambiati veramente tanti da allora: Darkene, Minias, Rivotril, Diazepam, Xanax e ovviamente il Valium. Poi sette mesi fa ho cominciato, poco per volta, a leggere Va Dove Ti Porta Il Cuore di Susanna Tamaro. Lo sconsiglio, provoca allucinazioni, stati d’ansia e panico. Però funziona. Più che addormentarmi diciamo che simulo uno stato comatoso. Mi immedesimo nella nonna che non muore mai. A certa gente bisognerebbe tagliare la testa da bambini, allora sì che ne rimarrebbe solo uno. Un vecchio, uno solo, fidatevi, può sempre servire. Tipo Grande Puffo, che alla fine s’accolla un po’ i cazzi di tutti. E allora leggo di questa vecchia che da giovane si sposa con tale Augusto, solo che questo si dimostra poco interessato alla questione matrimonio e preferisce dedicarsi alla sua passione per gli insetti. Sono sempre più convinto che ogni grande scrittore nasca da una grande umiliazione. Non è comunque il caso di Susanna Tamaro. Intanto scendono lente le palpebre, e grattano sul vitreo asciutto; mai fino in fondo, non più di così. Come i finestrini della Dedra di mio padre. La pupilla è tanto dilatata da catturare, nello spazio di una fessura, la luce di una lampadina spenta milioni di anni fa. Per addormentarmi conto le occasioni perse. E sono così tante che alla fine mi addormento, ma dormo male. E mi sveglio incazzato)
– Aò, mortacci vostra, che cazzo è sto casino?
– Giorgia è incinta!
– A quest’ora?